CHI È QUELLA CHE FRUTTERO HA DEFINITO LA PIÙ BRAVA AUTRICE ITALIANA?

RITRATTO DI ROSA MATTEUCCI, CHE ANNUNCIA UN ROMANZO AUTOBIOGRAFICO


Dalla piscina di Lourdes escono bestseller


24/10/2006


di Mario Baudino

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Rosa Matteucci GENOVA. E’ diventata scrittrice, e che scrittrice, andando a Lourdes. Ragion per cui è perfettamente inutile gridare al miracolo, anche se una punta di soprannaturale, chissà, potrebbe anche starci. Al Caffè degli specchi, nel centro di Genova, Rosa Matteucci è felicissima per le lodi di Carlo Fruttero e si chiede se per caso non ci sia lo zampino della mamma, scomparsa un anno fa, donna bellissima, coltissima, un po’ originale. «Magari è andata a parlare con Franco Lucentini, lei spiritello fosforescente con tutti i suoi cani. Magari gli ha chiesto se si poteva dare una mano a questa figlia». Decidere se stia parlando ironicamente o sul serio non è facile: o meglio, il problema sono le proporzioni tra le due tonalità. Forse bisogna rivolgersi a una terza categoria, quella del grottesco, in cui è maestra, anche se naturalmente non basta a contenerla.

È stata una rivelazione col suo primo romanzo, Lourdes per l’appunto, nel ‘99, arrivando da Adelphi nel modo più semplice e banale, quello generalmente sconsigliato ai più: aveva mandato il dattiloscritto. Non una stampata di computer, «una vera copia scritta a macchina e piena di correzioni - precisa -. All’Adelphi e basta. Forse non avevo neppure il denaro per fare le fotocopie e spedirle ad altri». Era un periodo difficile: aveva perso un ottimo lavoro al Quirinale (finito il settennato di Cossiga, si era deciso di tagliare e lei era stata sacrificata), si arrabattava come guida turistica abusiva in Umbria, ma non a Orvieto che è la sua città natale, perché lì tutti la conoscevano e sarebbe stata immediatamente denunciata. Accompagnava orde di giapponesi a Terni, perché si immortalassero in teatrini devoti davanti alla mummia di San Valentino. Ed era appena andata a Lourdes per fare i conti col Padreterno, visto che gli era morto il padre e lei si sentiva come la protagonista di Cuore di mamma: strangolata da un dolore cui non riusciva ad attribuire senso. Ma queste sono cose note, che ha raccontato altre volte: a Lourdes trovò «Dio nella piscina», curando le piaghe, affrontando i corpi nel loro disfacimento, nella loro carnalità più avvilita; e alla fine ne scrisse. «L’ho fatto per mio padre». Aveva preso una nuova strada, forse definitiva, e ancora non lo sapeva. «Non capisco perché la gente spasimi di scrivere libri. Io mi ci sono trovata - spiega - e in fondo era una situazione cui non ambivo per niente. La scrittura è stata l’unica possibilità di esistere. Credo che se non mi avessero cacciata dal Quirinale non sarebbe successo nulla. Pensavo di essere una brava dirigente». Ora c’è una dirigente in meno e una brava scrittrice in più, anzi secondo Fruttero - lo ha detto, un po’ a sorpresa, a Vanity Fair - la più brava di tutti. Meno male.

«Meno male? Ma via. Io scrivo perché ho avuto una vita dickensiana» In che senso? «Come Davide Copperfield». E giù a raccontare: una madre appunto bellissima, colta, affascinante, erede di antico casato orvietano, quindi ricchissima. Un’infanzia dorata. «Ero una bambina cui si dava del lei». Poi la rovina economica: il nonno perde tutto, il palazzo va all’asta, il padre ha il vizio del gioco e la famiglia si trasferisce a Venezia, in un pied-à-terre che originariamente serviva come base per il Casinò. Miseria, sconcerto. «Sono stata dislessica, ho imparato a leggere e scrivere in terza elementare. Ancora adesso tronco le parole in modo dialettale». La cultura, infine, come forma di resistenza: tornati a Orvieto, nel «cachot» dove ora vivevano («Un cachot come quello di Bernardette»), sua madre per invogliarla le traduceva gli articoli di Terzani dallo Spiegel, e in terza media la metteva su Musil e Joyce, in lingua originale.

Matteucci racconta inarrestabile, con un linguaggio simile alla ricca, densa prosa dei suoi libri. Elenca gli amici strani che giravano in casa del nonno, maghi spiritisti e avventurieri, o i grandi personaggi come Guido Carli con la moglie pittrice, i cui quadri giudicati orrendi venivano nascosti, per essere esibiti solo in occasione delle visite. Torna sullo choc di cambiare vita, e cambiarla ancora, e ancora. Ora vive tra Genova, dove si è stabilita per amore (galeotta fu un’intervista, racconta), e dove fa, provvisoriamente, la «giocattolara», e Orvieto, dove ogni tanto vede Susanna Tamaro, la cui fattoria è lì vicino. È un assedio di memorie, un romanzo, il prossimo. «Per forza, sarà la mia autobiografia. ‘Sta famiglia non mi molla». C’è da giurare che al centro ci sarà la mamma, non la vecchia, terribile, grottesca, comica icona del dolore che campeggia nel suo ultimo libro, ma qualcosa di più simile a quella vera: quella che ha detto una parolina a Lucentini, tra paradiso e girone dei suicidi, evidentemente collegati. «Se no, ‘sta cosa non si spiega».