Parliamo dei temi dell’infanzia

e dell’adolescenza..... by Graziano

 

Claudio, tu saresti un testimone privilegiato, perché ricevi lettere e mail di ragazzi e per questo hai sicuramente il polso della situazione riguardo al settore giovanile. Con questo non vorrei darti troppe responsabilità perché a volte si considerano i personaggi onniscienti….. 

No, qui ognuno ha un osservatorio personale, quindi non è assolutamente né metodico, né statistico. Io compio un’osservazione un po’ generalizzata, cioè che il rapporto fra il mondo adolescenziale e il mondo esterno, ossia l’adolescente individuale e tutto ciò che lo circonda sia meno percorso, nel senso che vi è un rapporto meno intrecciato. Quello in cui si trova l’adolescente è quasi un mondo che lo accoglie quasi con senso di colpa perché vorrebbe non fargli mancare niente, quindi c’è una sorta di benessere, almeno desiderato, a volte ostentato………..però non c’è il processo educativo affinché tutto questo possa essere compreso e metabolizzato………..la vita è fatta di passaggi, è fatta di acquisizioni, ma le acquisizioni devono essere in qualche modo capite, meritate, equilibrate ed equiparate con il tempo che va avanti. E allora, mi sembra che ci sia, in questa fretta generale, un rapporto inferiore. Non c’è una grande tramandazione di valori o di racconti, l’adolescente non viene dotato della memoria delle generazioni precedenti, c’è una certa tendenza a dimenticare o a non rivisitare quello che è accaduto, un po’ per pigrizia, un po’ perché non si vuole rimestare. Quindi quando dicevo che non c’è un forte intreccio, vuol dire che non c’è un grande abbraccio, nel senso che l’adolescente viene via via svezzato e allevato a un mondo che cerca di conquistare, ma non gli si danno poi tutti i mezzi per poterlo fare. Sembra che tutto il mondo vada incontro ai giovani, agli adolescenti, ma in fin dei conti non è così. Il mondo è molto conservativo! I primi diritti della persona giovane sono arrivati di recente, la grande rivoluzione del 1968 fu questa, lasciando stare poi i guasti che ha provocato in seguito con le lotte armate che derivavano dagli iniziali moti giovanili. Erano molto interessanti perché per la prima volta si parlava della persona giovane che, fino ad allora, non aveva un diritto in quanto tale. Era un individuo in crescita, ma che sarebbe divenuto individuo solo al compimento della maggiore età o quando produceva reddito, qualora avesse lavorato. Prima, era solamente un oggettino da tenere su (ride). Quindi lì, per la prima volta, ci fu questo movimento che poi si è un po’ perso. L’unica cosa di questo movimentismo………….fra l’ambientalista e il non – globalismo, forse è di nuovo un iniziale fermento che può essere paragonato a quello lì, dopodiché non ce ne sono stati più rivoluzioni o movimenti giovanili.

Dato che i genitori sono più assenti per motivi lavorativi e vengono meno al loro tradizionale ruolo di guida, visto che i rapporti degli stessi sono meno autoritari, secondo te questo porta i ragazzi a cercarsi dei modelli di riferimento all’esterno, per esempio nel mondo dello spettacolo, più che in passato? Oppure, tutto sommato, è come prima?

 

Sì, i modelli mi sembra che siano cercati un po’ più fuori, specialmente quelli che sono modelli di benessere economico, di arricchimento, di bellezza dal punto di vista dell’immagine, di vita più facilitata facile e lussuosa, questo non è che in altre epoche non sia stato così perché l’attore il calciatore o il cantante………però c’è più voglia di fare e di assomigliare a quel personaggio tant’è che c’è un aumento decisivo anche dei concorsi, le veline, le letterine, la fabbrica dei cantanti, adesso faranno con dei calciatori un altro reality show che faranno una squadra, giocheranno normalmente monitorati dalle loro cellette…….questo guardonismo ormai ci perseguita, quindi evidentemente c’è meno questa tramandazione da genitori a figli anche di un certo mestiere o di certi valori per cui si tende a modellarsi su un divo, su un personaggio pubblico, sullo sportivo.

In questo, che cosa succede?

Molto probabilmente ci si abitua a cercare di ottenere il massimo utile con il minimo sforzo, quindi una società dove il merito a volte vacilla perché ad esempio, rispondendo alla domanda del quiz della mattina in cui il presentatore ti fa pure l’occhietto e ti indica la risposta tu vinci una bella somma. Anche i quiz, in fondo, sono una bella illusione al fatto che si possono fare i soldi facilmente rispondendo o azzeccando un qualcosa....inoltre c’è l’aumento delle lotterie, questi sono tutti sintomi che ci fanno capire come il modello denaro, potere e soldi, siano effettivamente una delle cose cercate in questo momento perché a mio parere siamo un po’ tutti diffidenti nei confronti del nostro prossimo quindi la maniera per essere forti invidiati ed apprezzati ed essere qualcosa o qualcuno è di avere soldi e bellezza e di essere guardati. In questo senso la televisione dà dei modelli spesso, siccome è una lente che deforma………….. anche la facile notorietà del personaggio spiato dalla telecamera………per cui oramai tutti vogliono andare in televisione, anche a far niente, peraltro………uno si lava i denti davanti alla telecamera e diventa famoso!

A cantar le tue canzoni, anche! C’è quel Bruno che ti ha fatto una pubblicità…..

Che io poi l’ho visto, l’ho incontrato e mi è sembrato tanto un personaggio genuino, cosa a mio parere difficilmente da restare, quando c’è una telecamera! Anche al pranzo del matrimonio, davanti ad uno che ti viene con la telecamera, tu assumi un atteggiamento, cerchi di dare un saluto, di fare una battuta, c’è comunque una forzatura della tua naturalità.

E accanto a questa bellezza denaro e facile visibilità quali valori accomunano la gran parte di questi ragazzi, secondo il tuo modo di vedere?

A me sembra che permanga sempre una sorta di mutuo soccorso, di un bisogno di amicizia e di affetto, insomma una ricerca di amore in senso lato. E’ ancora molto forte il senso del volontariato, dell’assistenza nei confronti di chi soffre, di chi ha un handicap, di chi una diversità non tollerata dalla società nel suo pieno. Ne sappiamo un po’ meno perché in genere tutto questo si trova sotto traccia! E’ meno evidente, è meno glamour, è meno eccitante, non ha molto appeal. Tra gli anni 80 e i 90 chi andava la domenica a far fare il giretto con la carrozzella veniva considerato quasi uno stupido, un mezzo tonto……….questo qua invece di andare allo stadio, invece di andare in discoteca va a fare questa cosa! Adesso mi sembra che questo edonismo sfrenato si sia un po‘ calmato, se non altro nelle case. Poi, in un parte dell’editoria o della televisione sopravvive ancora. Di valori ce ne sono, secondo me. C’è poi, un valore dell’identità e delle identità che viene ricercato tanto. La grande crisi di oggi non è tanto una crisi di valori, quanto una crisi personale, perché uno cerca di darsi un atteggiamento o un tono, di essere qualcosa o qualcuno aldilà dell’appartenere ad un partito o ad una fede religiosa. Che invece è l’altra grande trappola! Noi abbiamo bisogno di iscriverci alla setta satanica, o al club dei tifosi o a CLAB[1] (ride, ndr) pur di sentirci accomunati, di avere una tessera. Specie nell’adolescenza il bisogno di appartenenza è fortissimo che spesso viene strumentalizzato da chi sa come dirigere la questione. Complessivamente mi sembra che la ricerca dei valori c’è! Non so poi la ricerca attraverso quali sistemi arriva, però nell’individualità chiunque ha una personale ricerca e spesso viene travolta dall’insieme. Spesso noi siamo considerati gruppo o partito gente pubblico consumatori, siamo sempre dei metri quadrati di gente, è difficilissimo trovare il pensiero individuale anche perché non ci sono più grandi pensatori. Tolto qualche personaggio mirabile, tutto il resto è mediocre rispetto a qualche generazione fa. La filosofia non ha più questo carattere trainante, la poesia è quasi sparita, per questo quelli che fanno il mio mestiere vengono presi spesso a maestri di pensiero. Io, una volta, me lo sono cavata quando mi hanno detto: “Lei è un maitre à penser!” e io gli ho risposto “Al massimo sono un pret à porter o un port à portes…”[2]. A volte uno non lo vuole questo ruolo, ma qualcun altro ti dà una medaglia. E’ più una corresponsione, un fatto vicendevole di qualcuno che esprimi i propri pensieri, un’idea dell’arte, un’idea del bello o anche un’idea del brutto e poi viene tutta discussa. Noi siamo in un momento di passaggio e quello che ci aspettavamo nel 2000, anche come data, non ha portato a nulla. Sinceramente l’umanità non sa dove sta andando, c’è questa diffidenza enorme, questa paura dell’esterno, dell’altro le guerre e il terrorismo, rapporti irrisolti proprio fra persone del genere umano. Questo è l’allarme più pericoloso che gli adolescenti stanno beccando, perché sono pochi a spiegare l’importanza delle individualità e delle diversità, la curiosità del sapere com’è quell’altro, che cosa fa e perché si inchina ad una certa ora del giorno in quella direzione. Sembra folkloristico, invece ci sono delle ragioni sentimentali, storiche più profonde. Il telegiornale, su 30 minuti, parla per 20 minuti di Nassirya, di Bagdhad, quindi la sensazione che hai è di appartenere ad un grande mondo globale senza avere, però, nessuna maniera per poterlo cambiare. Questa è la grande sconfitta dell’adolescenza di oggi!

Visto che i ragazzi, con te, si confidano moltissimo, anche senza averti mai incontrato fisicamente, oltre alla paura del diverso, quali sono le paure più diffuse per i ragazzi?

C’è la paura di non essere all’altezza di quello che il mondo chiede, di non essere fra quelli forti e vincenti , di non essere fra quelli affermati. C’è anche la paura della povertà, la paura di non avere un lavoro, ossia quella di non avere un titolo e una titolarità che, secondo me, è una paura fortissima. Per questo aumentano le scorciatoie, aumentano quelli che vogliono fare i calciatori che, alla fine, non è neanche un vero e proprio lavoro. Poi c’è una diminuzione del senso di affetto perché la famiglia è meno radunata rispetto all’epoca, per esempio, dei miei genitori. Allora gli uomini che lavoravano in campagna si alzavano alle cinque per andare a lavorar nei campi, però sapevano che alle sei di pomeriggio si sarebbero riuniti tutti e avrebbero parlato perché non c’erano né radio né televisione, quindi la parola era l’intrattenimento vero, il raccontarsi le storie. Noi non abbiamo famiglie così riunite! Oggi nella stessa casa si mangia in orari diversi, quindi è molto scompaginata l’idea del raduno e questo diventa abitudine o paura nell’adolescente di non avere figure paterne materne o configurabili. Per storia o per memoria uno il presepe lo vede sempre con il bue e l’asinello, quando invece oggi potremmo metterci il cane e il gatto. E’ ovvio, comunque, che certe cose possono anche cambiare per iconografia. La paura della diversità, resta tuttavia fortissima, così come la paura di non essere accettati in quanto tali, di non potersi permettere un certo tipo di vacanza, di non poter avere quel tipo di motorino. Gli adolescenti fanno a gara per avere il motorino più bello, e genitori che fanno? Quelli che possono, ma anche quelli che non possono tendono a colmare questa cosa con l’acquisto dell’oggetto, ma molto probabilmente non c’è poi tutto il resto. Io, tempo fa, ho scritto una canzone in cui, nel rapporto con mio padre, c’era lui che dava un nome a tutti gli alberi le piante ed i fiori[3]. C’era un insegnamento diretto di qualcosa che era a portata di mano. Oggi fatica a pensare ad un genitore medio che si mette lì a far lo stesso, a meno che non sia un giardiniere o un fioraio…...(ride, ndr). E’ questo che è venuto un po’ meno, questa mano portata dentro il mondo. L’adolescente viene spinto da dietro nel mondo, ma non viene tirato dentro.

Anni fa ho fatto una ricerca sul mondo dei personaggi dello spettacolo percepiti dai ragazzi. Ho notato che nei primi non si cercava propriamente un ruolo di guida morale, i secondi sembravano degli idoli a cui voler assomigliare. Hai la stessa sensazione?

Sì, non so bene se però questo avvenga nell’età adolescenziale o un po’ dopo, verso i venti anni. Anche la lettera scritta al cosiddetto divo, al personaggio pubblico è una maniera per raccontarsi. Il contenuto delle lettere è spesso “Ti racconto la mia storia……….la mia delusione……….le mie sofferenze…….o anche le mie gioie”. Questo si è allargato negli ultimi trent’anni. Se faccio un paragone con le lettere che ricevevo trent’anni fa dove si scriveva: “Ti ammiro tantissimo………come sei bravo………”, adesso una buona percentuale è fatta di gente che vuole raccontarsi, che ha bisogno di lanciare, come in una bottiglia, una lettera. Probabilmente questo avviene perché è più facile raccontarsi da lontano che da vicino, ormai vicino non trovi più nessuno che ti presti l’orecchio in questa corsa generale. C’è invece una parte che tende ad assomigliare o nel bene o nel male. Molto spesso il personaggio dello spettacolo viene ammirato in quanto trasgressivo, in quanto portatore di esagerazioni, di rivoluzioni, di situazioni estreme, anche fra gli sportivi. Oggi è un po’ e un po’. Però, in epoca più matura, penso che si voglia più corrispondere, trovare un muro al quale lanciare una pallina e che questa ritorni. In età adolescenziale ancora si guarda al personaggio per la sua esagerazione o solo perché è famoso. La fama, talvolta, è più importante del gradimento e, in questo, la televisione fa tantissimo. Appari tre volte in TV ed aumentano di tre volte le occhiate delle persone se vai in aeroporto. Io, per esempio, sono due anni che non vado in televisione e sento personalmente questo minore interesse (ride pensando ai suoi fans che comunque lo seguono dappertutto, ndr).

Vai cinque volte in TV e ti chiede l’autografo anche la persona che non sa precisamente quali canzoni tu abbia scritto, però ti ha visto in televisione. Magari ti scambia per un altro. Ti è mai successo?

A me, per fortuna, ancora non tanto (ride, ndr).

Parliamo di trasgressione, che ha raggiunto l’apice durante gli anni ‘70, secondo te i ragazzi hanno ancora questa attrazione del trasgressivo?

C’è una continua esibizione di una certa trasgressività che oramai è diventata persino moderata perché ce l’hai sempre a porta di mano. Poi, la trasgressione che porta addirittura a portarsi fuori della comunità e ti porta a compiere dei reati non può essere così invidiata. Invece, viene per memoria, considerato trasgressivo qualcuno che non lo è più, degli artisti che vent’anni fa erano trasgressivi e poi, un po’ per l’età, un po’ per tutta una serie di acciacchi, adesso passano tre mesi l’anno in una beaty farm (ride, ndr) per riprendersi. Però il pubblico li considera ancora tali. Bisogna vedere anche quanto il mondo dello spettacolo sia lo studio della trasgressività. Un personaggio come Marilyn Manson, per citarne uno, non so poi quanto effettivamente sia trasgressivo o quanto non sia anche tutto un apparato che si muove e che diventa un genere, uno stile, più che un torrente di personalità. Io penso che sia meno amata la trasgressività, perché non è più un valore e non ti fa star bene. In genere, il trasgressivo finisce male, è un disperato. Oggi si tende ad integrarsi……..”Oggi vorrei stare abbastanza bene……..” dicono i ragazzi. E’ quella mediocrità alta che ci deve permettere lo star bene. La trasgressività scomoda è molto più difficile da sostenere.

Cosa ne pensi di quegli artisti che spronano i loro ammiratori, seppur indirettamente, all’uso delle droghe leggere o pesanti che siano?

 Adesso mi sembra che nessuno si metta nelle condizioni di farlo direttamente, rispetto agli anni ’70, fine anni ’60 in cui c’era un invito palese all’assunzione degli acidi, delle droghe leggere. Era considerata persino una promozione, un’iniziazione importante perché per essere forti maturi grandi………comunque qui c’è un po’ di ipocrisia. Schierarsi apertamente contro l’uso delle droghe significa diventare bacchettone (tipica espressione barese, ndr) e conservatore. Però, a volte è necessario prendere un atteggiamento più netto perché i danni ed i guasti che un certo mondo musicale, facendo anche propaganda ai paradisi artificiali all’esaltazione alla cultura dello sballo, io non l’ho mai capito. Ancora oggi c’è questa ricerca frenetica, perché per sei giorni la vita è una troppo uguale, poi lo sballo! Tutti nella vita abbiamo avuto o avremo voglia dello sballo o dell’esagerazione, però non può essere una cultura imperante e non può essere neanche magnificata! Di bello non ha niente perché neanche te lo godi. Diversa è l’energia, l’adrenalina, la sensazione della forte emozione che può essere provata senza questa metodica dello sballo. Nei confronti di questi personaggi pubblici che sguazzano in questo mondo o non prendono una posizione netta sono un po’ critico perché la responsabilità esiste.Purtroppo, facendo un mestiere pubblico e giocando questo ruolo, sai che vieni guardato vieni osservato e puoi essere copiato. Qualsiasi affermazione non deve essere fatta a cuor leggero. Se non sai una risposta è meglio dire: “Non lo so!”, ma non bisogna dare una risposta a tutti i costi e a tutti i problemi e a tutte le istanze che vengono poste. C’è gente che prende come oro colato ciò che questi divi dicono, quindi se escono sul palco di un concerto con una canna in mano, i fans più stretti fanno altrettanto non tanto perché lo vogliano realmente, ma per semplice spirito di emulazione. L’emulazione è forte. Può essere anche condita da altre esigenze. Oltre agli aspetti chimici e medici è indubbio che vi siano fatti culturali dietro tutto questo, anche dietro al fumo tradizionale. C’è un certo cinema che faceva vedere l’attore americano spregiudicato che si fumava novanta sigarette (ride, ndr). Tu prendi il tutto anche di uno che fuma tanto. Questo si trasferisce anche negli altri settori. La responsabilità dei media, ma anche dell’arte e della cultura è formidabile, però è sia nel buono che nel cattivo. Tu hai la sensazione che i media siano un po’ troppo invadenti, oggi? Perché oggi si guarda più televisione, perché c’è Internet, c’è una multimedialità……… Siamo trapassati dalle notizie, dall’indiscrezione, dai “si dice”……….io, ad esempio, vieterei per legge sui giornali l’uso del condizionale, tipo “sembrerebbe che l’autore dell’omicidio sia Pinco Pallino…..”. Noi che cosa facciamo? Ci dimentichiamo del “sembrerebbe che…..” per affermare con certezza che l’autore dell’omicidio è Pinco Pallino! Diventa un’affermazione netta! Tutti i mezzi di comunicazione dovrebbero essere assolutamente più cauti nell’informazione, verificare molto di più le notizie, dare ancora di più il diritto di replica. “Sembrerebbe che quella persona sia un cocainomane……”, anche se ci fosse una smentita, a noi piace l’idea che quella persona sia cocainomane. I mezzi di comunicazione hanno una responsabilità spaventosa ma, secondo me, sono un po’ de – responsabilizzati. Anche il quotidiano serio è diventato più rosa, c’è la parte del gossip, “Dove passeranno le vacanze al mare………Carlo e Camilla?”…come se fosse fondamentale saperlo ai destini dell’umanità…….in alcuni telegiornali, specie quello di ITALIA1 ci sono settori interi in cui c’è il rosa. Non è che io sia terrorizzato da tutto questo, però un po’ mi fa pensare. Il ruolo delle scuole? In una nazione per bene, l’educatore dovrebbe essere quello che prende più soldi, perché è mestiere che riveste un’importanza colossale e richiede una preparazione mostruosa. Pertanto il lavoro che dovrebbe fare una parte della classe dirigente è quello di dare i mezzi di farsi una propria idea, a chi è meno provvisto, per non essere in ostaggio ad una propaganda solo di un certo tipo, a un tendenza culturale schierata…… La musica sembra essere uno strumento privilegiato nel rapporto con i ragazzi, a riguardo. Anche rispetto allo sport, al cinema, alla televisione. Perché? Perché la musica ha un potere evocativo che nessun altra cosa ha, anche dopo che è stata ascoltata……..il potere della memoria. Specie la canzone, che della musica è il prodotto più friabile, più facile……..è lo snack, insomma. Due parole, una certa melodia, un suono di uno strumento hanno la stessa capacità di un odore di un profumo. E’ come se fosse una macchina spazio – tempo ed hai la sensazione di ritrovarti lì, dov’eri la prima volta che hai sentito quella cosa. La musica c’è sempre! E’ la cosa più naturale più istintiva che noi abbiamo, il suono, ancora prima della parola. E’ la prima cosa che ci si infila dentro, una specie di virus, di batterio che non se ne va più. Il gesto sportivo è quello, però poi lo devi rivedere! La musica non separa le persone e, anche se all’interno ci sono dei generi differenti, le accomuna aldilà delle preferenze politiche e religiose. Poi ha un altro aspetto che è quello di riunire le generazioni, cosa che non succedeva quaranta – cinquanta anni fa. Generalmente gli adolescenti mettevano una separazione con quello che c’era stato prima. La musica e i miti dei loro genitori era vecchia, da baule. Poi, nel tempo, forse perché oggi ci sono meno frizioni fra generazioni ,le cose sono cambiate. Nel mio piccolo osservatorio, posso dirvi che ai miei concerti, e non solo, vedo famiglie intere con le generazioni…..anche i bambini di tre – quattro anni che sono obbligati (ride, ndr), per questo il TELEFONO AZZURRO io lo consiglio sempre (ride, ndr). La musica, quindi, ha il potere di creare una passione comune all’interno di un nucleo famigliare o di un nucleo di amici, di una comitiva.

Senti Claudio, nel 1981 cantavi “…….cos’è che ci spezza il cuore fra canzoni e amore…”, nel 1985 “…ma che cos’è mai che mi fa credere ancora, mi riga gli occhi d’amore…”, nel 2000 “….perché fu e o sarà la vita è un viaggio od un destino?”.

Queste sono tutte domande retoriche. Quanto è importante dare una risposta a queste domande? E’ importante cercarla o è bene che rimangano tali? E’ importante farsele. Tanto, siccome non c’è mai una risposta che ti soddisfi veramente, sono risposte che uno si dà via via. La nostra è una condizione di ricerca, sempre. Anche fino alla fine, quando abbiamo la sensazione di aver raggiunto una meta e una risposta, noi dobbiamo essere persone in cerca, è il nostro destino. Anche se ogni tanto ci diamo delle risposte perché qualcosa bisogna anche acquisire, bisogna fermarsi, bisogna dialogare con qualcuno. Se fossimo tutti in cerca, allora tutti andremmo in direzioni diverse (ride, ndr) e non sbatteremmo mai addosso a qualcun altro.

C’è una canzone che hai pubblicato nel 1995 che intitolata “TITOLI DI CODA”[4] in cui scrivevi “….figli miei, vi lascerei se potessi una casa più grande, una con mille e più fumaioli…”. Ovviamente tu dovresti avere un solo figlio[5], chi sono questi figli?

Figli come discendenti, della generazione seguente, figli ideali. E’ questo senso di non essere mai stati completamente esaustivi nei confronti delle domande degli altri e di non aver dato una casa, che diventa anch’essa una casa ideale. Una casa grande, un mondo nel quale accoglierglieli e dove potessero stare bene sempre, con mille e più fumaioli perché sono quelli che danno l’idea della familiarità, del cammino, del fuoco, della vita che c’è all’interno dello spazio casalingo. I figli sono tutti gli altri, quelli che ad un certo punto proseguiranno questa famosa ricerca (ride, ndr).

Anche i ragazzi che ti scrivono le lettere, tu li consideri come figli tuoi? Dato che tu parli di “risposte per cento domande”, quindi l’adolescente che ti scrive la lettera, il clabber[6] che cerca un confronto con te?

No, questo sarebbe un abbraccio un po’ ecunemico, troppo papale. Ho scritto figli perché mi dà l’idea di essere una persona più grande per un fatto di età. C’è un certo punto in cui tu non sei solo figlio, ma nel momento in cui diventi padre smetti di essere un po’ figlio. Quando ho avuto mio figlio, ho avuto la netta sensazione di non potermi più comportare, se non altro per decoro (ride, ndr)…………da figlio. Ho dovuto assumere una parte, un ruolo. Non li considero figli miei neanche da un punto di vista educativo, non mi sento un maestro di pensiero. Anzi, certe io volte io tenderei ad alleggerire questo rapporto con l’ammiratore perché vorrei tanto che non si aspettassero chissà che cosa. Alla fine abbiamo un potenzialità che arriva a volte un po’ più in là, ma………questo è il fatto più avvilente! A volte non sei all’altezza né come genitore, né come persona, né come artista che si sta esibendo, oppure con la persona che ti incontra e di non avere nei suoi confronti quella dose di attenzione, di affetto, di non stupire. Certe volte si evita di avere un rapporto ravvicinato perché ti sembra che l’unico vero sia quello fra palco e platea. Quando invece sei così sembra che tutto perda di valore. Però, quando invece ti riesce il rapporto ravvicinato sei ancora più contento perché dici: “Vedi, non sono solo quello che se spengono i riflettori sono perduto……………anche quando si spengono i riflettori sono un essere umano”. Bisogna anche vedere come ti fanno sentire gli altri. Certe volte non sei tu il marziano, sono gli altri che ti fanno sentire tale.

Nelle tue canzoni ricorre di frequente il concetto di porta e delle porte…………”chiuderò la porta a far star bene la tua assenza”[7]……….”da qualche parte a mettere le porte al vento………”[8].

Le porte sono dei passaggi. Io, poi, facevo un sogno ricorrente quando ero adolescente: sognavo un percorso fatto di porte, arrivare, aprire e non so sapere cosa ci fosse dall’altra parta della porta. Forse anche per questo, se mi ci fai pensare. La porta è un varco, come un porto. Se sei una nave arrivi in un porto, rimani per un po’, però non puoi stare sempre lì. Le porte sono le aperture e le chiusure di epoche, di giornate, di momenti. Quanto ti manca passeggiare per le strade di Roma, tranquillamente? E poi, qual è il posto di Roma che ti porteresti nella tomba? Ci sono dei periodi, quando sono molto più tranquillo, in cui io vengo qui in ufficio a piedi, anzi mi piace passeggiare. Ci sono dei momenti in cui la pressione delle persone è sostenibile, perché se riesci a star bene con te stesso riesci ad essere sorridente anche di fronte alla maleducazione o all’intromissione troppo cruenta. Qualche volta mi manca curiosare sulle storie della gente che io di solito descrivo, al ritorno a casa dal tram o in metropolitana, perché in effetti non prendo un tram da un bel po’ di anni (ride, ndr). Mi manca, quindi, quel tipo di normalità. Il posto di Roma che mi porterei nella tomba? Essendo uno che viveva ai margini della città, abitavo spesso su case il cui balcone si affacciava su uno sferrato, dove iniziava la campagna. Ricordo questo limite netto fra città e campagna e mi piaceva questo fatto perché mi sembrava di essere un pioniere, qualcuno che si affacciava su quello che non era ancora città. Mi piaceva quel mondo di quando ero ancora ragazzino, quasi adolescente. Anche quando andai ad abitare in Via Suvereto, quasi finiva lì la città, oggi dietro c’è n’è un’altra con mezzo milione di persone. E i monumenti? Non ho sentimenti nei confronti di questa Roma. Non mi commuove. Magari il vicolo sì perché c’è la vita, ma per i monumenti non è che il cuore mi si apre. So che può sembrare una bestemmia perché uno si fa tremila chilometri per andare a vedere un qualcosa e poi non vede quello che ha sotto il naso. Posso ammirare, ad esempio, il Colosseo, bellissimo, ma non mi emoziona. Mi emozionano dei luoghi, una luce ad un certo punto, perché mi rimuove il senso dei ricordi. Un tipo di voce, quella luce particolare, degli odori, sono piccoli frammenti…… Gli odori……… Gli odori tantissimo! Quando arriva l’estate o comincia ad arrivare la primavera e senti che l’aria è diversa gli odori sono degli attentati, mi fanno venire la pelle d’oca! Più di una scena triste. ---------------------------------

 

Intervista concessa al sito da GRAZIANO SECONDO

[1] CLAB è l’associazione culturale, nata nel 1995 da un’idea dello stesso Claudio Baglioni, il quale ne è anche presidente onorario. Ne fanno parte molti suoi ammiratori di ogni parte d’Italia e anche del mondo (attualmente sono oltre seimila). Ha lo scopo generale di far condividere un percorso in comune con il cantautore romano, in una maniera più intima e al di fuori dei riti canonici dei tradizionali concerti. Gli associati si riuniscono almeno una volta l’anno durante il raduno, organizzato dallo stesso Baglioni e dai componenti del suo staff. (www.clab.info/ )

 [2] Chiaro il sarcastico riferimento alla sua celebre canzone “Porta Portese” dell’album “Questo piccolo grande amore”, 1972.

[3] La canzone citata è “Patapàn” tratta dall’album “Sono io – l’uomo della storia accanto –“, 2003;

 [4] Brano estratto dall’album “IO SONO QUI – tra le ultime parole di addio e quando va la musica-”, 1995.

 [5] Giovanni , nato il 19 Maggio 1982 dal matrimonio con Paola Massari;

[6] Clabber è lo status comune che acquisisce chi si iscrive all’associazione culturale CLAB;

[7] Tratto dal brano “La piana dei cavalli bradi”, Lp “OLTRE”, 1990.

[8] Tratto dal brano “Io sono qui”, Lp “IO SONO QUI – tra le ultime parole di addio e quando va la musica-”, 1995. Claudio Baglioni e Graziano Secondo (Eurispes - ROMA)