“Viaggi

e

Concerti”

 

di

Daniele Silvestri

 

I VIAGGI

 

ANCONA, 14 GIUGNO 2003

Il mio 14 Giugno sarà qualcosa che non potrà facilmente sbiadirsi con il
parto di altri scatti di vita in primo piano o in prospettiva del mio album
di ricordi. Anche perchè, nonostante le vicissitudini e le proverbiali
sepolture sotto il disco di fuoco che dominava il giorno, evidentemente
resterà segnata dalla parte buona della lavagna, questa data decisiva del
2003 e, assieme ad esso, di buona parte del passato prossimo.
Ci sono eventi che se ti capitano in determinate situazioni, quali il morire
di caldo assiderati ed affamati quasi implorando un sorso di acqua bollente
od uno spicchio di ombra dove dar pace all'incendio celebrale ( che putroppo
mi sono accorto, scrivendo questa mail, dentro di me non è estinto del
tutto...), ti incombono di segnarli con il rosso e chiuderli nel baule da
lasciare impolverire nei cassetti in soffitta: eppure ieri penso che mi
sarebbe potuto accadere anche dell'altro, oltre alle comiche-patetiche scene
di sconfitta depressa alla invincibilità del nostro essere umanamente
bisognosi di liquidi e solidi, perchè certe cose uno se le porta dentro, e
per portarle a termine, poi, sarebbe disposto a soffrire.
Un pò come il sentimento di tifoso che vive nel co-protagonista  di questa
storia, Ivan, interista doc, nonostante il 5 Maggio, nonostante tutto, al di
là di ogni sofferenza... e così noi ieri, perchè essere baglioniani veri è
un pò come appartenere ad una stretta cerchia di indomiti che vanno oltre.
Consapevoli che è una passione  troppo grossa, troppo bella, troppo vitale.
Ed anche quando uno incomincia a non avere più dita o menti fresche per
contare, come i reduci, le battaglie portate a termine, la fede resta. E uno
va avanti, anche se avanti i bar non aprono, o magari sono aperti ma ti
guardano in faccia e dicono che i piaceri non si fanno nemmemo ai moribondi.
Perchè baglioniani si nasce. Ma speriamo che, dovendoci anche morire, non
sia poi così necessario farlo troppo presto!
E infatti. Dopo aver studiato una partenza presumibilmente intelligente,
puntello la mia sveglia alle 5,45 del mattino, mi dico sicuro di farcela in
tempo, faccio festa al lavoro per non far tardi, ma poi come capita sempre
ad un impaziente colpito dal bubbone baglioniano, non riesci ad
addormentarti, c'hai l'adrenalina che ti circola dentro come Shumy a Imola,
ed alla fine fai un patto con la tua ansia, fai pace con la tua brama che
sia l'ora di partire e ti rassegni a fare la veglia intorno al fuoco.
E ti alzi con due occhi da Rocky dopo aver detto a tua madre di aver dormito
discretamente, corri a prepararti senza fare colazione perchè pensi di
prendere qualcosa fuori inconsapevole di quanto accadrà, e ti fiondi il più
presto possibile alla stazione ferroviaria, lì dove accanto ai poveri cristi
che dormono in un angolo pulcioso c'è uno che ti chiede a partire da un
euro, ma tu prosegui e cerchi Ivan, e lo vedi mezzo addormentato peggio di
te, con la sua maglia viaggiatore in gran spolvero ed uno zaino alle spalle
che prevedi contenga bevande e vivande, ma che invece... ah... ce l'avessimo
portate davvero!
Ovviamente sbagliamo fila per l'acquisto del biglietto per Benevento, e
facciamo la prima corsa, la prima sudata (quella che non si scorda mai) e
saliamo sul treno, mentre ci facciamo le pippe mentali su quali canzoni di
"Sono io" canterà Claudio ed intanto nascondiamo dietro gli occhialetti neri
quattro sensori di sonno. Ci aspetta Massimo, lì a Benevento, città da cui
partirà il vero e proprio progetto: arrivare al più presto ad Ancona!
E certo che ci arriviamo: Certamente, dopo un paio di soste per colmare le
litanie intestine, e dopo aver fatto dietro font perchè la nostra compagna
di viaggio, quarto elemento non assolutamente coreografico ma attivo in
tutta la sua serenità con picchi frenetici della sofferenza alla sete, si
era dimenticata il biglietto a casa. E torniamo indietro, a Campobasso, ma
dopodichè il nostro autista logorroico decide che la tabella di marcia ha
subito troppi rallentamenti ed allora da fondo a tutta la sua abilità col
piedino a sfreccia come il vento con conseguenti girotondi e danze del
ventre (il tuo). Vabbè, i sorpassi allegretti potevi pure fingere di non
vederli, ma il caldo si era rotto di essere ancora uno a zero con noi: Mò
gli faccio fare un'altra sudata a sti sfigati! E così, stai in un auto dove
non puoi parlare al conducente perchè è lui che ti fa la permanente con il
fiume che ti schiaffa addosso a centottanta all'ora, anche perchè basta
aprire un finestrino che entra un vento caldo da scorticarti il respiro e
mentre la temperatura raggiunge i quaranta e le maglie si fanno bostic tu
non senti nemmeno il tuo respiro per sapere se sei vivo con sto cavolo di
vento stile aereo in decollo che entra dallo spiffero di vetro aperto. Eppur
si muove, e pure ci arriviamo ad Ancona! Ed anche in anticipo... molto,
molto anticipo! Praticamente stiamo solo noi, una coppia che prende il sole
sul prato, ed il protagonista del film, il sole.
Siccome siamo uomini di mondo non ci fermiamo al motel per procurarci
qualcosa da bere e mangiare, perchè: "dai, ci sarà senz'altro un bar vicino
allo stadio, o un ambulante...".
Sono precisamente le 13. Il sole ti guarda e ti ride in faccia. Ti dice
quasi, avanti, prova a guardarmi se sei uomo. Ma più che altro uno lì si
guarda intorno e vede la desolazione più mesta. Non c'è anima viva in giro.
Non si sente una mosca volare. Il paesaggio intorno a noi è formato da uno
stadio che sa  tanto di serie C, un palasport chiuso, un cinema chiuso, un
bar chiuso, un distributore chiuso, un ambulante che non c'è, un bagno che
non esiste, ed oltre a ciò colline verdi, colline verdi, ancora colline
verdi. Se fossero state arancioni qualcuno avrebbe sorriso, ma neanche in
quel caso erano colline di aranciata da bere, per cui facciamo un attimo due
calcoli: siamo senza acqua cibo, senza auto, perchè Massimo è andato via,
senza forze, distrutti dal caldo, e non c'è un cristiano che ti dia una
mano. Il capo-comitiva Ivan guida la nostra caccia al tesoro, io per un
istante  ho il miraggio di vedere un tubo da cui esce acqua ma è solo il
cavo della luce, e la nostra amica Anna invece comincia a cercare soluzioni
alternative ma non c'è frase che non finisca per: maròò che caldo!
A dire il vero un essere umano lo troviamo, e pure interessante: è quello
che prepara il bar! Con le facce più disperate che ci possiamo dipingere,
con le maglie che già ti stanno scorticando la pelle ed i raggi che fanno
toc toc al tuo cervello che però è chiuso in bagno a leggere, chiediamo
dell'acqua. Il signorino lì aveva le bottigliette in mano, ne anche una
bella serie, oltre a bibite varie, ad un suo collega che se ne va e le
ondeggia a mò di presa in giro: imploriamo quasi da bere, ma il signore
gentile, un vero affarista peraltro, non ci da nulla, non è mosso manco a
pietà, e afferma che se lo fa per noi, lo deve fare per tutti: ma tutti chi,
che nel giro di 10 km ci stiamo solo noi e due infrattati nelle fresche
frasche?
Ce ne andiamo con la coda tra le gambe. Ivan ha il coraggio di chiedere ad
un lontano secondo essere apparentemente umano se ha dell'acqua e se sa a
che ora apre il distributore agip con il bar, ma quel tipo, forse un collega
del barista, gli urla dietro di non sapere nulla, con una gentilezza tipica
del posto, evidentemente.
Nemmeno domandare a chi fa benzina self service serve... o ci spariamo un
numero impreciso di km in direzione Ancona centro, dove neanche è certa la
presenza di bar aperti, oppure tentiamo di convincere il barista.
Anna non ce la fa più, si prefigge programmi di ritorsione al barista, ma
per fortuna alcuni generosi addetti di Capitani Coraggiosi ci vengono
incontro e ci danno una bottiglietta loro. E' calda, bollente, ma almeno non
è un miraggio.
Come si fa con il collirio, beviamo, e in noi prevale la rassegnazione
dell'attesa. Ivan è l'unico che ancora nn molla la presa, mente io sono
ridotto ad un parassita umano che cammina solo per inerzia. Non riesco
neanche a parlare più, farfuglio.
Mi sento cadavere. Il sole ci uccide.
Troviamo riparo all'ombra dell'ingresso del bar, seduti per terra, ma
l'ombra diminuisce con il crescere dei minuti e della nostra impellenza di
cibo e acqua. Passa il tempo, piano piano, e arrivano altre baglioniane.
Loro salvano di nuovo Anna, e intanto, mentre già ci ridiamo su, poichè la
situazione è diventata così radicata in noi con il girare delle lancette, io
ed Ivan decidiamo di andare all'ennesima avanscoperta, ma, cercando l'acqua,
troviamo il furgoncino del merchandising. La foga e l'indole fanciullesca
che è in noi per un momento ci allontana dall'agonia di sete, e svaligiamo o
quasi il furgone. Tornando indietro, tutti fieri di mostrare i trofei
acquistati, abbiamo la sensazione che qualcosa si è mosso.
E ora so cosa deve aver provato Ulisse alla vista della te rra ferma... Il
cinema era aperto ora, e, colmi di speranza, ci infiliamo, in cerca di bagno
e bevande... siiiiii! Siamo salvi! Ci diamo alla pazza gioia, siamo salvi,
possiamo bere, mangiare, rilassarci, siamo all'ombra! ora non siamo più soli
sotto i soli, e il peggio è passato.
Ci attenderà una festa, una gioia, un'aria allegra coinvolgente... è questo
che cercavamo, questo che ci ha fatto patire consapevolmente il caldo e la
sete.
Perchè la nostra sete baglioniana, poi, a sera, ci avrebbe ripagato di
tutto.

 

ROMA, 1 LUGLIO 2003
1 Luglio 2003.
Anche il mio, come quello di ognuno dei 75 mila tam tam di ieri, è un
viaggio verso una meta.
Immagini, sensazioni, scartoffie e flash mentali da preservare e
incastonare tra le dita di un tempo che sfugge via come il più rapido
dei pendolini notturni, tra le nubi e le tenebre che si fondono
all'oscurità di ciò che si dimentica, e si modella, sfumandosi,
facendosi poi lieta novella da raccontarsi da reduci.
Anche io ho lanciato il mio grido lassù, ieri notte, affinché si aprisse
in quel cielo romano illuminato dalla festa, un lampo di luce dei
ricordi, incancellabili: o perlomeno dei frammenti, degli spaccati di
suggestioni di quei giorni che non sai se e quando potrai rivivere; ed
allora li salvi con nome dentro te nella speranza che poi ti possano
servire nelle giornate di pioggia, per sorridere di quanto quel sorriso
che avevi stampato in quegli istanti, in fondo, ti rendesse felice.
Felice anche di ricordare. come se fosse ieri. e per adesso è veramente
ieri! Uno ieri che, più o meno, cominciava così.
Tra l'indecisione più assoluta, con un' aura irreale, facente capo ad
una serie di emozioni un po' troppo distanti da quelle sentite sulla
pelle assieme al caldo in quella storica ormai giornata dorica: pareva
che andasse tutto liscio, al punto che domandarsi se veramente si stesse
andando ad un concerto di Claudio non era poi una domanda così folle da
porsi, essendo io, ed il mio compare di tour Ivan divenuti ormai i
protagonisti di una sorta di movie in bianco e nero vecchio stampo, un
po' felliniano ed anche un po' fantozziano, laddove arrivare al
traguardo è sempre una gioia quando hai dovuto scavalcare quei piccoli,
grandi ostacoli tipici di tutti i viaggi e di tutti i fan affamati di
concerti che, inevitabilmente, si trovano a navigare lo stesso mare
increspato.
Anche perché, dopo Ancona, Ivan non si è più ripreso. Non era più
possibile comunicare con lui senza pronunciare la parola "sete"; Ed era
tanto ironico il parodiarci addosso quanto paradossale, se uno ci
ragiona sopra e evidenzia la pazzia che abbiamo fatto soli sotto il sol
di metà Giugno.
Ma stavolta no. Premuniti, meno scimuniti, dall'alto dell'esperienza
maturata (o sudata) sulla propria corteccia, ci studiamo una partenza
mirata, perfezionistica, minuziosa alla Ragionier Filini: bottiglie
d'acqua a volontà, colazioni al sacco, orari accessibili, tabella di
marcia che non fa una grinza. tutto troppo tranquillo, per essere un
viaggio di Daniele ed Ivan!
Non so se un giorno leggerò queste righe e mi ritroverò a ridere come
ora che le sto scrivendo: ma probabilmente è qualcosa segnato nel nostro
dna, nel nostro segno zodiacale, o forse la baglionite ci ha colpito
così tanto dal farci sentire delle specie di cavie baglioniane, messe lì
a superare delle prove per vedere se ce lo meritiamo stò concerto!
Fatto sta che partiamo, già con le ironie del compare Ivan e dei suoi
sogni cinematografici: secondo i miraggi delle sue notti prima dei
concerti, arriverà un giorno in cui Tognetti ci contatterà in pvt
chiedendoci di fare una sorta di Baglioni trip: Un viaggio verso il
concerto, una specie di Turisti per caso tra impedimenti e contrattempi,
studiati per rendere l'esperienza unica, sulla scia di un "reality show"
che cerca di rispondere alla classica domanda: Cosa accadrà nella
prossima puntata ai nostri eroi? Riusciranno a raggiungere lo stadio in
tempo e, soprattutto da vivi?
Ma questo non è un sogno, è una realtà che, per renderla più accessibile
alle nostre età che avanzano, plasmiamo attorno alla paura folle di
restare senza liquidi in questi dì di arsura, e zaino sulle spalle,
bevande fresche a rinfrescarci anche solo il pensiero di usarle poi, ci
avviamo, intorno alle 12,40 sul treno che ci avrebbe portato a Termini.
Sul treno Ivan inizia a narrare l'epopea  fiorentina del 27, e
diciamolo, mi fa leggermente schiattare di invidia: il palco era così,
il pubblico era caldo, il concerto bellissimo, la visuale e l'acustica
ottima. Guarda caso, i migliori concerti sono quelli che mi perdo! Ma,
sicuro che Roma sarebbe stata Roma, provo a convertire Ivan ad altri
discorsi, portandolo a snocciolare le sue antiche esperienze sul campo; Il
decano che si è visto tutto o quasi da Assolo
in poi, il veterano che sull'asta alza il livello col suo allievo mentre
negli occhi gli si illuminano i ricordi e nei miei ancora l'invidia per
esser stato troppo piccolo per averli potuti vivere. E vabbè, ogni
racconto di Ivan in fondo si fa teatrale, perché te lo espone in modo da
visualizzartelo, ed allora mi illudo di esserci stato anche io.
Ma il tema principale del viaggio è in realtà chiedersi chi sarà
l'ospite della serata di Roma. Perché tutto questo riserbo? Perché non
dirlo?
Entrambi, nel proseguimento delle reciproche ipotesi della star da
ospitare intendiamo battere il sentiero di coloro i quali avrebbero
colorato di entusiasmo e di miglioria un concerto già di per se unico ed
irripetibile: Al punto che se Ivan dice Giorgia, io dico Peter Gabriel.
Viaggiamo, viaggiamo con il corpo e con la mente. Viaggiamo troppo in
questi giorni, compare Ivan. Tra i deliri della nostra domanda
ricorrente non ci accorgiamo nemmeno che il caldo inizia a farsi sentire
sempre più, e un po' più affranti perché sempre più consapevoli di
essere due pedine incapaci di far scacco alla dama-natura, ci
abbandoniamo ognuno alle proprie fiacche del nostro essere uomini: Ivan
si spara bottiglie senza sosta, e mostra sul viso i segni della
stanchezza di troppe spedizioni claudiesche, troppi treni, troppi
"soli", soldi e troppo caldo, in pochi giorni. Io, invece, che addosso
mi porto il troppo tempo di veglia pre concerto, come da copione,
dimostro il mio assoluto impaccio di fronte alla immane potenza della
natura, che, attraverso il suo braccio, decide di non lasciarmi in pace,
e, facendosi vento, farà in modo di inscenare una crudele battaglia
senza esclusioni di colpi tra me e la tendina copri-finestrino del
treno: svolazza, prima piano, poi sempre più forte, decisa a trionfare.
Quanto ho odiato quella tendina, capace di frustarmi per buona parte del
viaggio tra le risate di Ivan e la mia rabbia! Già, perché per quanto
cercassi di fra valere il raziocinio, la natura morta di un pezzo di
stoffa aveva la meglio su me; per quanti nodi e marchingegni potessi
utilizzare per ammansirlo, non avevo che pochi istanti di tregua, per
poi tornare ad essere frustato sugli occhi e sul viso da questa tenda
mossa dal vento. Fortuna che non era arancione!
Ivan, da vate qual è, ha una idea: chiudere il finestrino! Che ingegno
ragazzi! La soluzione per risparmiarmi le vergate era lì, a portata di
mano. Peccato che, nell'atto di chiudere, facendo forza in due, mi si
apre l'orologio che, cadendo per terra, decide di passare a miglior
vita!
E in più poi, evitando le staffilate della tendina, ci subiamo una sauna
che è davvero un toccasana alle 2 del pomeriggio! Ma evidentemente non
poteva andarci tutto bene!
Già perché, una volta a Termini siamo di fronte ad un bivio; quello che
avrebbe cambiato il senso della nostra giornata e fatto risparmiare ai
nostri corpi altre disavventure da calura. Una volta in metro infatti,
ci si domanda se andare direttamente allo stadio o se metterci in
contatto con un altro ragazzo baglioniano, la vera guest star della
storia: un personaggio molto neorealista, ma anche un po' morettiano,
che risponde al nome di Andrea ma che è semplicemente Lock del
newsgroup: una persona affabile e disponibile, ma forse, diciamo solo un
pelino, smemorato.
Lock ed Ivan si erano accordati prima di partire per portare noi due
viaggiatori napoletani dal suo ufficio, in zona flaminia, allo stadio.
Entrambi non vogliamo dare fastidio ad Andrea ed alla sua compagna, ma
questi insiste così tanto che accettiamo volentieri il suo cortese
invito. Però, purtroppo, c'è già un piccolo, infinitesimale,
contrattempo: la sua auto, anziché essere in zona Flaminia, è in sosta
in un area di servizio a Saxa Rubra, cosicché, il tempo che noi avremmo
dovuto usare per arrivare all'olimpico lo impieghiamo per andare sul
treno, il quarto dalla mattinata, in direzione Viterbo: col quale, scesi
a Saxa Rubra, attendiamo impazienti e felici l'auto.
Quand'ecco che Lock da sfogo al suo colpo di scena.
Sbiancato e impacciato, il povero Lock si era dimenticato le chiavi
della sua auto in ufficio, lì in quella zona flaminia dove eravamo scesi
io ed Ivan circa tre quarti d'ora prima.
Non facendo altro che scusarsi, Lock prende la decisione di tornare
indietro, mentre io ed Ivan ci guardiamo complici delle disavventure
consci che è, certo, una dimenticanza che può capitare, ma che si
aggiunge alle mille difficoltà da noi incontrate negli ultimi due viaggi
Baglioniani.
Soli, stanchi, affamati, assetati, con le gambe tremolanti, ci sediamo
sfiniti per terra. Sembra davvero un film. Ci domandiamo se Lock non sia
stato pagato da Tognetti per quel progetto del movie on the road che il
compare Ivan aveva sognato!!!
Poi lo immaginiamo tutto mortificato correre di nuovo in treno per
tornare laddove eravamo ripartiti, ritornare laddove noi lo stavamo
aspettando per poi ripartire in auto verso l'olimpico. Poverino, voleva
farci un favore! Ma siamo noi che portiamo sfiga?
Fatto sta che le piccola odissea continua, tra una signora che urla
improperi ad un conducente di un autobus, tra un tassista che sfoglia
convinto le pagine del "topolino" appena uscito, e tra un paio di
pullman che, nell'atto di far la curva ed entrare nel parcheggio, quasi
quasi ci vengono addosso!
Ma, ormai, noi non facciamo che ridere! Però il tempo passa, tra un po'
le "curve" vere aprono ed allora siamo ad un altro crocevia. Un po'
dispiaciuti per Lock, scegliamo di andarci in taxi all'olimpico.
Si lo so, è un po' uno spreco, dopo essere stati a pochi minuti di
autobus dallo stadio, prima che capitasse a Lock di scordare le chiavi,
ma in fondo, ci eravamo abituati e la cosa iniziava a farsi divertente.
e via in taxi! Si per fortuna non c'era traffico, altrimenti.
Lo stadio olimpico, per la prima volta in vita mia. Bellissimo, mi
entusiasma.
Peccato che sbagliamo fila e ci troviamo accalcati in maniera animalesca
mentre una nostra amica, Valentina, ci aspetta ad un ingresso più
decentrato, dove si sarebbe dovuto vedere meglio una volta entrati. Per
arrivare da lei, spintoni e imprecazioni che a raccoglierle ci si fa una
enciclopedia dei bon ton!
Eppure la vediamo, e scopriamo in lei un altro personaggio stile grande
schermo. Idealista, attivista, capace di far esplodere un fiume di
parole e, subito dopo, un silenzio fiabesco. Oppure di essere abilissima
nel Playback al concerto, meglio di Claudio sicuramente! Certo, non è
che ci saremmo presi collera se si fosse mossa un po' di più allo
stadio! Mentre invece, lì dove eravamo noi, sembrava, inizialmente, un
meeting dei morti viventi. Una curva seduta non la vedevo da.. No dai,
non l'ho mai vista! Alzatevi per favore, non rovinatemi la mia prima
olimpicata! E mentre medito di usare la preziosa acqua come un
rivitalizzatore per la folla silenziosa, per fortuna Claudio tira fuori
dal cappello le prime ondate di energia, e, man mano che si fanno
cronologicamente datate, il pubblico dà segni di vita.
In realtà la sfiga continua, perché per quanto fan navigati ci scegliamo
dei posti su cui le luci puntano con decisione, rendendo, con effetto
abbagliante, impossibile o quasi la visione globale del palco; e difatti
Ivan si va a fare un giro per lo stadio, per cercare una visuale
migliore, ma ormai la curva è così piena che quando decide di tornare al
suo posto raccoglie spintoni e cortesi manifestazioni d'affetto che ci
fa la seconda edizione della enciclopedia del bon ton!
Ma in fondo la festa va avanti, nonostante una fagiolata di ospiti di
serie B che ci delude come davanti ad una domenica In di basso livello,
con personaggi desolanti  che ombreggiano anche un duetto Baglioni-Zero
che sarebbe stato bello poter sentire senza quei tizi a fare numero.
La festa ci elettrizza, man mano non siamo più solo io, Valentina, Ivan,
Fabi e la sua band le sole persone a saltare e cantare: l'olimpico si
scalda, e io assisto davvero ad un concerto magnifico, il più bello che
ho visto.
Ma quando finisce, torna con un altro colpo di scena il nostro amico e
simpaticone Lock.
Che, poverino, voleva farsi perdonare, e ci offre un passaggio auto e un
giro per Roma by night.
Peccato che solo una volta entrati in auto, Lock ci confida che in
realtà lui non è romano, ma milanese, e che Roma non la conosce molto
bene, essendo un pendolare.
Ivan mi guarda. Io "messaggio" per fatti miei ormai indifferente a
quello che ci capita. La notte è giovane. E poi Andrea-Lock ha il suo
navigatore satellitare ad indicare
le strade, penso tra me e me, non possiamo perderci, no. Ed invece si.
Gira che ti rigira, facciamo sempre lo stesso giro. Piazza Indipendenza,
Piazza Venezia, stazione Termini. un giro panoramico senza però trovare
la bellezza di un bar aperto, mente lo stomaco dei passeggeri canta un
twist e balla una lap dance.
Tra l'indagine del palmare e un paio di strade trovate a .. Riusciamo ad
entrare in un bar aperto, dove, affamati come lupi ci ammucchiamo come
sciacalli che non vedono cibo da anni!
Lock, poverino, continua a scusarsi, e ci offre pizzette e coca cola, e
a noi ci spiace che continui a giustificarsi per gli inconvenienti
poiché, in summa, noi ci abbiamo fatto l'abitudine.
Quando ci congediamo dal nostro amico Lock, sono più o meno le tre,
minuto più minuto meno.
Entriamo nel bar Castellino, aperto tutta la notte, dove consumiamo un
qualcosa che non è cena, né colazione, ne spuntino: è impeto di fame, di
sete, di voglia di mischiare sapori tra loro: Patatine, gelati, coca
cola, e chi più ne ha ne metta. Rifocillandoci, poi, leggiamo le prime
recensioni sul concerto magico: abbastanza buone, pensiamo, peccato che
non parlino del riflettore accecante e che si inventino una festa
baglioniana notturna che, mentre era in stampa il quotidiano, non era
neppure iniziata.
Sono le 4 e mezza circa. Tra un po' albeggerà. Ci avviamo per le strade
di Roma semi vuote, dominate dal silenzio, dalla bellezza incontaminata
di una città senza rumore, o stress: come una donna in abito da sera
pronta a mostrare le sue grazie, Roma offre il meglio di se.
Il cielo che da nero si schiarisce, la storia che ci strizza l'occhio
ovunque, le risate e le canzoni di Claudio che risuonano e riempiono di
eco il vuoto delle vie.
Ad un certo punto, un tizio da lontano ci pare faccia qualcosa di
strano.
Da solo, probabilmente ubriaco, è tutto intento a sbandierare il
vessillo della Gran Bratagna in aria, a sbandierare senza senso nel
cuore della notte romana, forse in preda agli ultimi fumi dell'alcol
prima di adagiarsi, come tutti gli altri homeless capitolini, su di una
panchina o su di un angolo pulcioso coperto dai giornali o da, appunto,
una bandiera anglosassone.
Io ed Ivan parliamo del concerto.
Una voce strozzata, un lamento, quasi desolato, attira la nostra
attenzione. Passeggiando ci accorgiamo che è sempre più forte, nitido: è
un pianto di bambino?
Ivan subito si fa il film: Due fan al ritorno dal concerto di Baglioni
ritrovano bimbo nel cassonetto e lo affidano alle cure della nurcery
dove gli verrà affibbiato il nome Claudio.
Ridendo di ciò, però, ci accorgiamo che non era affatto un bimbo, a
piangere. Quello che sembrava un lamento, in realtà era il canto di uno
stormo di gabbiani che, nel centro della notte di Roma, volteggiavano e
si svincolavano in volo, liberi, belli, atipici in una punto non
propriamente vicinissimo al mare.
È un po' come il nostro trip, questo volo di gabbiani: Come il trovarsi
soli nel fulcro di Roma, dopo un evento storico come il concerto
dell'olimpico, liberi di lasciarci andare al ricordo di tutte quelle
belle emozioni e ricordi di questa straordinaria quanto lunga giornata
nella capitale.
Sono le ultime immagini che conservo: Ivan dorme con il messaggero che
funge da poggiapiedi, oltre di me il sole si affaccia lentamente tra le
colonne ed i portici che danno il segnale del nostro arrivederci Roma,
ed un alba di uno spicchio di sole acceca i miei occhi rossi di insonnia
e appannati di miopia, mentre, stanco da morire, sorrido di me stesso,
guardando uno scompartimento di nottambuli assonnati; i quali, chi senza
scarpe, chi con la mascherina, si lasciano abbracciare da Morfeo,
mentre, di lato, una tendina verde al vento svolazza divertita ed io,
sfinito dalla stanchezza, ma anche dal compiacimento, canticchio uomini
persi ad occhi chiusi, pensando a quello che Ivan, poco prima, mi disse
tra lo sventolare della bandiera del folle notturno e delle ali dei
gabbiani: "Li vedi i barboni? Stiamoci attenti, a seguire Claudio fra un
po' ci ritroviamo cosi!".
Beh. Io mi ci ritroverei. Sarei un clochard felice.

 

NAPOLI, 5 LUGLIO 2003

Nessuna tendina che mi si getta addosso tipo film horror, nessuna
carenza d'acqua anconetana, nessuna perdita di chiavi.
Nulla o quasi ieri, 5 luglio 2003, è andato storto.
Ho vissuto una delle giornate più belle in assoluto, da quando sono
entrato a far parte dell'universo del mago, e questo non solamente
grazie alla enfasi e allo splendore di uno show che, avendolo potuto
ammirare in una posizione di assoluta globalità e, ancor di più, nel
cuore della intera tournèe estiva, ha dato modo di dimostrare tutto il
suo immanentismo scenico-compositivo. Ma, senza ombra alcuna sui miei
pensieri, ancor di più perché l'ho potuto condividere con tanti amici e
amiche, vecchi o nuovi, come non mi capitava da tempo. E ho potuto
evidenziare che in ognuno/a di loro c'è un qualcosa di speciale, di
colorato (arancione e non)  di umano, vero, così come è vera questa
passione che ci unisce.
Io immagino come sarebbe stato vedere questo magnifico, irripetibile,
inarrivabile show senza tutti voi: Mi sarebbe piaciuto certo, ma non con
quell'entusiasmo che ho potuto vedere prima e dopo la grande festa dalla
curve vuote, negli occhi divertiti, esaltati, ardenti che ho incrociato.
E che parlavano da soli. Specchiando i miei.
Non c'era bisogno di molte parole, in fondo. Si capiva che tutti noi
stavamo bene, anzi benissimo, in quel contesto. E' il nostro habitat:
Oh, ognuno c'ha il suo! E come non ricordare gli sguardi accesi di
Cristina mentre raccontava di come, ad un certo punto, si sia lasciata
trasportare dalla commozione al punto di non riuscire ad esternarla, né
a muoversi?
In questi piccoli gesti, insomma, ci si ritrova. Come lo stare assieme,
il rincorrersi, il salutarsi, l'attendersi. l'attendere la festa.
E l'attesa, la mia, perlomeno, è iniziata molto, moltissimo tempo fa.
Ivan mi prese i biglietti di Ancona e Napoli quando ancora non si sapeva
nulla; Né quando sarebbe uscito il cd, né l'entità del tour, né la
scaletta: niente.
Noi siamo fatti così, amiamo questo mondo così tanto che nelle poche
rare occasioni in cui poterlo vivere non ci facciamo ragionamenti
cervellotici, e ci incolonniamo a scatola chiusa.
Come una notte di veglia al S.Carlo di cui ho ancora il rimorso per non
averla vissuta interamente. Come un concerto a Marino per il quale io e
Massimo, per fare un
piacere, ci perdemmo per le vie di Roma, perdemmo il passaggio auto, ed
arrivammo tardi. Ma per fortuna ce ne erano già allora di bravi amici,
che ci aiutarono a non perderci la serata preservandoci posti speciali.
Io ricordo il mio angelo di Marino. Laura. A lei ancora un grazie da
allora.
Una classica avventura baglioniana come me ne capitano da un po' a
questa parte, proprio perché per me viverle è marcarle, segnarle nei
ricordi. E così ogni tanto, in questi mesi, quando le folate del vento
diventavano gelide, e scolorivano le giornate di sole, io me ne andavo
in camera, a spolverare o, come diceva qualcuno, lucidare il mio sogno.
Si, certo, ho visto Ancona e Roma. Ma era Napoli, era l'8 luglio, il mio
sogno. E andare a guardarselo, quel biglietto blu, mirabilmente
acquistato da Ivan, con quel misterioso settore D fila 8 posto 21 che
poi si sarebbe rivelato una mega postazione dove far trillare gli occhi
di gioia smisurata,  era come il contentino dell'attesa. Una lunga,
lunghissima vigilanza prima dello scoppio delle saette delle emozioni
bonificate solo attraverso telefonate al compare (secondo te come sarà
il tour?) e dalle tante immaginazioni, interrotte ieri, quando,
svegliandomi da una notte agitata, ho detto a me stesso: scemo, è il
giorno!
E mi sono messo a ridere da solo.
Una rapida fuga su internet, dove scopro con delizia della presunta
assenza di Dolly allo stadio come ospite s(gradito) più o meno, o
perlomeno da me. Poi mi preparo le poche cose da portarmi dietro, faccio
un giro di telefonate e cerco di assicurarmi che le persone che mi
avevano chiesto aiuto e piccole accoglienze avessero trovato facile il
loro arrivo a Napoli. Purtroppo con alcune di queste persone non mi sono
potuto neppure vedere, tipo la splendida Giulia, alla quale non ho
potuto chiedere come e dove alla fine il fan per cui mi chiese soccorso
abbia trovato alloggio. Ivan e Massimo li ho sentiti più volte, durante
la mattina, ed entrambi su di giri, ovviamente a modo loro: Massimo
spara parole a razzo, come suo solito, Ivan parla con enfasi, si slancia
nelle parole, nette, mostrando il fianco del suo divertimento
giornaliero. Ci diamo vari appuntamenti, particolarmente con Max,
dovendo accogliere le fan viaggiatrici sulla coda del treno, e cioè Fabi
e Daniela.
Ma, un concerto di questi tempi poteva andare liscio? No, macchè!
E difatti, la mia quasi coetanea Camilla (non è una amica, è la mia
auto-baglioniana, ossia una discoteca claudiesca su ruote) decide di
farsi un pisolino. Non sono, inizialmente, preoccupato. Ogni settimana
mi lascia a piedi 3 volte su 7, però con le maniere buone si ottiene
tutto e dopo un paio di Ave Maria riparte. Ieri no. E la porto dal
meccanico sotto di me il cui responso è: "Si è fottuta la batteria!". Azz
dico io! E mò? Altro che accoglienza napoletana, qua Fabi mi picchia,
Massimo mi cazzierà e rischio anche di non andare allo stadio per veder
gli altri amici fan! Allora, dopo un fitto conciliabolo con l'emerito
meccanico, che, avendo studiato a Oxford mi spiega tecnicamente e
analiticamente il da farsi con la sua impeccabile intonazione teatrale,
decidiamo di far caricare due batterie, la mia, ed una seconda
magicamente apparsa. Il guaio è che non riesco ad avere l'auto prima
delle 3 meno 10, orario in cui già sono in ritardo per andare alla
stazione da Massimo, Fabi e Daniela, e forse nemmeno con l'appuntamento
con Ivan.
Inutile dire che il mio cell. pullula di messaggi di chi, non vedendomi
arrivare, pensava che me ne fossi fregato! Per fortuna arriviamo a un
chiarimento, cosicché, mentre mi riapproprio di Camilla, e della mia
vecchia batteria caricata, parto subito e come un pazzo arrivo in
5 minuti di autostrada a Fuorigrotta. Fuori lo stadio c'è Ivan, siamo i
primi. Non c'è posto, cerchiamo a destra e a sinistra, fino a che non ci
imbattiamo in un parcheggio custodito che però prima ci fa scendere, e
poi ci dice: Tutto pieno! Per risalire la deleritta Camilla si tira su
le maniche, ma non ce la fa  e veniamo risucchiati dalla discesa come il
vortice dell'Odissea: Allora Ivan scende, e, con una botta e una spinta,
da il là alla pazza salita! Meno male che ce l'abbiamo fatta, anche
perché il freno a mano non teneva e con la discesa alla spalle, se non
fossi uscito subito, avrei travolto il povero Ivan!
Fortunatamente, fuori al Gazebo acchiappiamo un personaggio tipicamente
"da stadio", un tizio che farfuglia parole, gesticola, ti fa intuire
quello che dice, anche se la sola cosa che dice è : Vabbuò.
Nel senso che si, la macchina, parcheggiata sulle strisce blu, può
ritenersi protetta, tranquilla, tutelata dalla sua persona, dalla sua
autorità di parcheggiatore abusivo. Non mi fido molto, poi penso che mi
sono rotto di girare a vuoto ed allora, per buona pace di tutti quanti,
gli diamo due euro, e sicuri che il miglior antifurto dell'auto mia è
l'auto mia stessa, ce ne andiamo baldanzosi e tutti atteggiati con le
magliette di Claudio e il pass verso lo stadio. Peccato che non sappiamo
il passo del gambero..!
Mostro ad Ivan il Gazebo, e lo consiglio come ritrovo, perché è fresco e
all'ombra. Ci avviamo all'ingresso dello stadio, e abbiamo un sussulto
cardiovascolare. Un manifesto cita: Ingresso Distinti Gigi D'alessio.
Leggendo la parola "Ospiti" al posto di Distinti, temiamo il peggio, ma poi
capiamo che è solamente una nostra fobia. Non ci saranno Dolly
stasera.
Sono le tre e un quarto. Mentre ci dilettiamo a sentire le prove dei
Performers ed a mostrare la nostra conoscenza baglioniana ai passanti in
cerca di biglietti o delucidazioni dagli addetti dello staff (cioè noi
perché c'abbiamo il pass clab!), arrivano finalmente i primi amici, tra
cui la promotrice dell'orario benevolo Cristina Doremifasol, una
simpaticissima e carinissima ragazza accompagnata dal ragazzo,
Massimiliano (al quale bastano due secondi due per farci ridere. Capiamo
subito che è fortissimo, simpaticissimo, e anche un provetto studente
del baglionesimo, vero?) con sua sorella e una amica, due belle e dolci
ragazze. Cristina e Massimiliano sono una bella coppia, si completano,
almeno stando alle sensazioni di ieri, perché, mentre lei insegna, lui
impara con tutta l'ironia di cui è capace, ma soprattutto sono entrambi
spassosissimi, dei miti, così come Orchidea, ossia Donatella, che,
accogliendo l'invito monocolore, è tutta in tenuta arancione, e
soprattutto ha talmente piacere di stare con noi dal venire al radunello
napoletano con un anticipo colossale rispetto al ragazzo (mi pare
cinque ore!!!).
Quanto sono stati belli quei minuti assieme, a guardare foto, a
scambiarci opinioni, sorrisi, risate.
Si riconoscono sempre i veri baglioniani, io lo dico sempre. E dico a
voi: Ragà siete forti!
I miei doveri-piaceri di ospitante, mi inducono però a recarmi in zona
Municipio, per andare a prendere Fabi. Quindi, salutando per un po' gli
amici appena conosciuti, scappo con la camilla, che non parte, ma,
questa volta, si commuove agli Ave Maria. Mentre mi avvio fuori dalle
strisce, il simpatico omone dei parcheggi mi guarda, per dire: Ti ho
visto che te ne vai. devi tornare prima o poi!". Io ricambio con uno
sguardo che intende dire: " Tienimi il posto, che ti ho pagato!".
E corro. Per fortuna non c'è molto traffico, ma gira che ti rigira il
tempo passa, e siccome molte strade sono chiuse, mi ritrovo allo stadio
dopo un bel po' di tempo. Parcheggio al solito posto, faccio un cenno
all'amico delle strisce blu e lui mi viene incontro mentre spengo
Camilla. E dice: Dai, un pensiero per l'amico qui vicino, che ve la
guarda pure lui la macchina. gli offrite un caffè!". Traducendo dagli
geroglifici verbali, intuisco che vuole altri soldi per il suo collega
di lavoro. Non mi va l'idea, ma siccome è meglio tenerseli buoni
acconsento.
E qui siamo al momento della massima unione tra fan.  Incontro,
passeggiando in cerca di un "tabacchi" la storica, bella, amabile Milla,
sempre più blu nei suoi laghi, e poi Alfonso, che rivedo con piacere
dalla calda giornata del 24 Maggio, quando prendemmo in prestito i
manifesti ed avemmo un certo senso di benevolenza verso Rossella, che
nessuno salutava per accerchiare Claudio, e ci offrimmo da parlarle. Poi
incontro Anna- Isolina, dolce e gentile come l'altra volta di Ancona: Le
chiedo: "Ti sei portata da bere si?". E lei: "Certo, ma qui non è Ancona!".
La
sua voce è un po' stanca, io spero solo che si sia divertita allo stadio
così come mi sono divertito io. Saluto brevemente numerosissime altre
ragazze incontrate qui e lì, tra Ancona, Roma e altri concerti sparsi
per l'Italia ( non mi ricordo i nomi :-p), finchè non arriva il momento
decisivo: la foto del Newsgroup! Ci raggiunge anche il fortissimo Vins
del Ng e facciamo alcuni scatti, tipo squadra di calcio, dopodiché,
procediamo a intrattenerci tra di noi, tra uno scherzo, una battuta.
insomma: è il momento più bello. Quello dello stare insieme.
Mentre salutiamo con contentezza le belle "gemelline" (mica vi da
fastidio se vi chiamo cosi?) di Ponticelli, Ivan caccia il radar
Claudiesco. Prima ci trova un distributore bipede di giornali gratuiti
su Claudio, e se ne fa una scorpacciata da dividere tra fan, tra i quali
alcuni sconosciuti che scambiano il compare per il vero fornitore, e poi ci
porta da Tognetti,
che è molto gentile con noi, e ci spiega che non può parlare dell'ospite
(che potrebbe saltare): ci parla anche di presunte agevolazioni per il
prossimo tour nei palasport per i clabber, a partire da fine novembre,
oltre all'uscita dal DVD di questo tour. Staremo a vedere.
E' il momento dei primi saluti. Gli amici del NG che non hanno il
numerato vanno in fila, ma incontriamo Titty ed il boyfriend molto
compiacente con lei, mentre si avvicina l'ora in cui posso abbracciare i
miei grandi amici monopolesi (si dice così?) Nicoletta e Carmelo, che
affronteranno un doppio viaggio in poche ore da far paura. Ma li vedo
bene, sereni, felici. Ne sono contento davvero! E poi stiamo anche molto
vicini in tribuna e possiamo scherzare insieme tra gesti inconsulti e
messaggi a distanza di un metro!
Entriamo allo stadio! Che cavolo di visuale! Un orgia! Bellissimo! Sono
già sicuro che da questa postazione vedrò tutto molto, molto più nitido.
Poi corro a salutare l'altra mia amica Chiara, con la quale ho assistito
al magico incanto del San Carlo. E infine, gli ultimi spiccioli di
divertissment amichevole: chiacchiero con Milla il cui sguardo cattura,
gironzolo un po' per la tribuna, vedo un paio di facce note che mi
salutano ma non so chi sono, e infine acchiappo finalmente Massimo con
Daniela, verso le 9, e con lui progettiamo l'avventura barese dell'8
prossimo.
E' l'ultimo spicchio di luce, poi calerà il sipario.
Del più grande spettacolo mai visto finora.
L'incantesimo di Claudio, il più spettacolare che gli ho visto fare da
quando lo conosco. Della cui immensità ed intensità sentirò forte il
richiamo nel mio cuore per sempre, così come sarà indelebile il ricordo
di tutti i momenti trascorsi, di tutti i sorrisi visti e vissuti, di
voi, cari amici baglioniani.


BARI, 8 LUGLIO 2003
Ciao!
Per la gioia di chi, ancora per poco, presumo, non mi ha ancora
cortesemente invitato a "tacere", vi invio quella che, a ragione,
considero la parte terminale di una sorta di vicenda itinerante, una
spedizione costante, un po' goffo o pacchiano, a volte, ma, soprattutto,
un tragitto di passione all'interno di, come dice uno che parla bene, un
viaggio della vita non sempre entusiasmante e carico di significati.
Come lo sono state, invece,  queste giornate ricche di eventi e persone;
di belle persone.
Ricche di gioia, di partenze, arrivi. Ed anche di una continua voglia di
ricominciare.
Beh, ora, fatalità sovrastanti, impongono lo stop. Senza il go.
E, come il più classico dei racconti, anche il mio, bello o brutto che
sia, si argomenta di una caterva di parole magari futili, magari
accorate, ma, in fondo, specchio di episodi da accendere nel camino
delle giornate pallide. Da rilegare in un album, come le foto o i vinili
sgualciti dal tempo. Come quei diari degli istanti andati per cui,
sempre, c'era un prologo, ma, purtroppo, anche un epilogo.

Ed così anche per questi bei gradini di vita, scalati di corsa, tra un
treno in partenza e una notte senza fine: perché, nelle bellezze dei
momenti da conservarmi dentro, ne vedo tracciato un comune filo che lega
un cammino da Ancona a Bari, e che qui, in questa stanza, si ferma.
In attesa del prossimo treno.

Mi ricordo la giornata di Ancona con la stessa miscela di patimento e
divertimento, dovuti allo stare insieme ed al soffrire insieme lo stesso
caldo.  Pensavo di averne tratto un buon insegnamento, tanto che già
alla seconda avventura, in quel di Roma, partimmo muniti di tutto, ma
soprattutto di bevande: i prodi bizzarri protagonisti di queste giornate
da fan avrebbero evitato i più macabri disegni di sopravvivenza
desertica, è vero, ma vissuto ugualmente grossolane disavventure
tipicamente degne della precedente tappa.
E così è stato, fino a ieri, 8 luglio 2003, quando entrambi, Ivan e
Daniele, credevano di aver accumulato abbastanza esperienza da farsi
passare sopra qualunque altro possibile inconveniente-divertente.
E si misero in marcia.
Il progetto Bari parte quando mi contatta la redazione di Allmusic, tv
musicale, per comunicarmi la vincita di due biglietti; ero appena
tornato da Roma, ancora carico di adrenalina e voglia di concerti, e a
questa notizia i miei salti di gioia non si contavano più. Lo dicevo a
tutti, ma proprio a tutti, fiero di aver avuto un po' di fortuna
baglioniana.
Così, organizziamo un viaggio quanto meno decente, nel tentativo di non
cadere nelle consuete ironiche scene da commedia all'italiana in cui
cadiamo sempre, quando si tratta di seguire Claudio.
Tutto però, al contrario delle nostre aspettative, sembra ricordare la
prima partenza, quella verso Ancona. Stesso orario, stesse modalità,
stesse ingenuità.
Ci regoliamo con l'amico Massimo di Benevento per un viaggio assieme,
che possa portarci in un orario ammissibile a Bari, anche se gli impegni
del nostro amico ci portano a prendere il via del viaggio nello stesso,
identico e massacrante orario del viaggio anconetano. Prendere, ossia,
il treno Napoli-Benevento delle ore 7,11 del mattino.
Il che vuol dire sveglia alle 5,45, con consequenziale veglia notturna
col timore di prender sonno, zaini preparati in tutta fretta con la
paura di dimenticare sempre qualcosa, occhi azzeccati dal

torpore per la sveglia insolita, e corsa alla stazione con la fifa di
perdere il treno regionale.
Arrivo prima io. Mentre mi munisco di biglietti, il compare Ivan mi
viene incontro. Ha una faccia che parla da sola. E' stremata fin dalla
partenza, carica di smorfie di stanchezza e sonno, e di quella energia
pre-concerto che però si modella in commistioni con la fiacca generale
per le troppe ore notturne perse tra veglie e viaggi baglioniani oltre
alla spossatezza di una intera fase neo estiva passata al caldo di città
variegate, cercando bar, ristoranti, ombra, bibite, e stadi dove entrare
a vivere le attese.
Mi domando subito come riuscirà Ivan a restare sveglio fino a notte
inoltrata. E come, del resto, potrò riuscirci io.
Siamo alla 4 e 5 tappa del tour. Un buon bottino. Il che però, vuol dire
anche 4 e 5 giornate alla fan, con tutte le digressioni sul tema
possibile. E allora entrambi pensiamo che veramente siamo arrivati al
capolinea, per cui Bari dovrà essere necessariamente la nostra ultima
sosta, quella da vivere più intensamente ma anche malinconicamente.
Pensando a tutto quello già trascorso, dopo mesi e mesi di indugio, ora
siamo alla fine.
E, se da un lato ci dispiace terribilmente, dall'altro almeno ci consola
che quelle nostre del primissimo mattino dell'8 luglio 2003, insomma,
saranno le ultime facce con lo sfiancamento stampato su ogni lineamento.
Dunque partiamo, e, dopo un doppio viaggio tranquillo, siamo a Bari. Da
Benevento in poi viaggiamo in macchina con Massimo, gentile come sempre,
fanfarone come sempre.
Ma, ironia della sorte, il viaggio inizia a somigliare al primo, quello
dorico, sempre più.
Arriviamo a Bari alle 11 del mattino, circa. Massimo ha impegni
personali, e dunque prosegue per la sua strada, dopo aver cercato a
vuoto lo Stadio Arena della Vittoria che, ovviamente, non avrebbe mai
trovato continuando ad inseguire le indicazioni per lo stadio S. Nicola,
nonostante cercassimo di dirglielo. Ma tant'è. Lasciandoci nel pressi
del centro di Bari, la sua auto corre e va, ma mai lontano quanto
l'immaginazione. nostra: perché, alle undici, nel fulcro del giorno dal
sole africano, hai voglia di immaginare quante belle cose puoi fare,
nella ridente cittadina pugliese!
Soli, probabilmente i primi in Italia ad essersi messi in moto in cerca
dell'Arena a quell'ora folle, iniziamo a girarci i pollici seduti sulla
prima panchina protetta dall'ombra dei pini di alcuni giardinetti
adiacenti il lungomare barese. Intorno a noi vecchietti e ragazzini che
giocano a pallone, e, sullo sfondo, una foschia dovuta alla calura che
rende indefinito tutto quello che circonda l'orizzonte della nostra
visuale.
Che fare, quando si è così in anticipo rispetto al concerto? Abbiamo
avanti a noi poco più di nove ore, non ci resta che camminare e cercare
qualcosa con cui impegnarci.
Fautori della filosofia degli impavidi pellegrini del sacro Claudio,
dottrina che insegna la repulsione allo snobismo ed a qualunque forma di
comfort possibile, certi che ormai ne abbiamo viste tutte, in virtù
della nostra maturazione sul campo decidiamo di metterci in marcia,
sicuri che lo stadio, per chissà quale lume celebrale colpito a freddo
dal caldo barese, si trovasse nelle immediate vicinanze. E camminiamo a
piedi, disdegnando autobus, taxi o quant'altro. Io ammiro l'aria di
mare, Ivan si tempesta di domande su come sarà il concerto, ed ancora
certi di essere a pochi metri dalla meta, iniziamo a vacillare, dopo i
primi quarti di lancetta che scorrono via come le Ferrari, tra i passi
che, pian piano, si fanno più torvi.  Il sole inizia a dominare. Lo
riconosco, è lui! E' lo stesso sole di Ancona; questo disgraziato che ci
perseguita, forse pagato da Tognetti, forse corrotto dai fan di Vasco, e
ci inzuppa di fiacca e sudore, di gambe che se si fossero chiamate Aldo
e Giovanni avrebbero fatto un bellissimo trio... Chiediamo a qualche
turpe personaggio costiero, provando ad intuire lo slang del posto,
fingendo di mostrare gratitudine nei grazie di circostanza dopo aver
finto di capir un tutt'uno di risposte equivalente a nemmeno una mazza.
Ma vabbè, non sarà lontano questo stadio no?
E soli sotto il sol, tra richieste di aiuto a turiste sculaccianti e
pescatori in gran spolvero dialettico, intuiamo di dover continuare a
costeggiare il lungomare. Si, ma per quanto ancora?

Sembra lo stesso film di Ancona. Anzi, peggiore. Non sono nemmeno le 12,
fa un caldo da pazzi, ansimiamo come belve in gabbia o braccate da un
nemico troppo forte, e non abbiamo la benché minima idea di dove stiamo
andando. Ma chi ce l'ha fatto fare? Inutile continuare a piangere sul
latte versato ma. almeno ci fosse, anche avariato, me lo berrei lo
stesso!
Il tempo scorre, come le gocce sulle fronti. Quando siamo ridotti
veramente male, troviamo un cartello che indica lo stadio e, felici,
proseguiamo. Ma sarà un errore in più, perché, inevitabilmente, ci
porterà ad aggiungere una ulteriore quantità di chilometri a quelli già
macinati.
Alla fine saranno una decina, quelli percorsi. Ma, in lontananza,
notiamo i fari! Come due barche alla deriva in giubilo nel cuore della
notte alla vista della luce lanciata nel buio dal guardiano del faro,
noi, osservando i pali dei riflettori dell'Arena della vittoria,
esultiamo come farebbero due poveri cristi persi nel deserto, senza un
bar lungo il tragitto per rinfrescarci, senza anima viva a indicarci una
via, senza nulla intorno a noi. Appunto, come due Ulisse che, trovando
la meta urlano: Itaca! Ma non l'avevamo già fatto? E si, Ivan, siamo
ripetitivi. O forse siamo due polli. Ora quasi allo spiedo.
Ci guardiamo come a dirci: Speriamo che ci sia almeno un ambulante, un
essere umano, qualcuno che venda cose commestibili. Dopo essere
arrivati, tramite indicazione dalla sola figura vagamente umana trovata
nell'ultima fase del nostro vagabondaggio, ossia un "mellonaro" (colui
che vende cocomeri) anche alquanto alticcio, in una via alternativa per
tagliare e arrivare prima allo stadio, veniamo assaliti da nauseanti e
vomitevoli tanfi di sterco misto a zolfo, tali da rendere impossibile il
respiro. E non finisce qui. La misteriosa quanto odorosa via alternativa
del mellonaro altro non è che una vecchia zona industriale degradata
dove divampano i rifiuti, i binari di chissà quali treni per dove,
collinette di avanzi e letame, insomma, proprio un bel posticino dove
girare un videoclip tipo "Noi no".
E invece noi si, ci siamo passati, quand'ecco che arriva la botta
finale. Allo stadio non c'è nulla, niente. Da mangiare si intende.
Fremono solamente i preparativi per la serata: Oltre i cancelli i
furgoni della 2effe, i performers, lo staff, le musiche in sottofondo.
Unico contentino, la bellezza delle ballerine, succinte al punto giusto.
Almeno sto caldo folle a qualcosa serve e, attirati da cotanta visuale,
forse colti dalle visioni, dovute al sole o a chissà cosa messosi in
moto sulle nostre sinistre menti contorte, ci fossilizziamo con i visi
sulle reti oltre cui passeggiano le figuranti: a bocca aperta, soli due
esseri umani non avvolti dal recinto di uno stadio oltre cui tutto è
desolazione mesta e abbandono, sembriamo due mitomani, due squilibrati.
due maniaci alla Pacciani...
Poi ci riprendiamo, e torniamo a fare ragionare il cervello che,
evidentemente, si era scollegato e operava off line. Decidiamo di
tornare indietro: ma si, dai, ci siamo solo fatti una bella e rilassante
passeggiata nelle ore più roventi del giorno!
Questa volta però, facciamo i furbi. Decidiamo di prendere il pulman:
Uno qualunque. Basta che ci porti dove c'è civiltà. Basta che abbia
quattro ruote. E per giunta, senza biglietti, rischiamo di fare i
portoghesi, se ci beccano possiamo sempre mostrare le nostre facce
distrutte e muoverli a pietà!
Ma prima di arrivare alla fermata, dopo un'altra bella camminata, in
lontananza ci colpisce una lunga distesa sul selciato, che, a prima
vista, sembra un ammasso di pellicce lasciate in mezzo alla strada,
sparpagliate. Ma non sono pellicce, bensì cani, abbandonati, stesi,
annichiliti, ovunque. Occupano marciapiede, strada, banchina, sono
ovunque. Cani stesi sotto le auto, cani stesi sotto i balconi, cani
senza segni di vita al centro della via. Ma cos'è, l'olocausto dei cani?
O il remake della moria delle vacche del celebre film di Totò?
A noi sembra sempre più di essere nel cast di uno squallido, illogico,
film anni '70.. Siamo due folli pellegrini ingrifati dalle ballerine e
morti di fame e sete, abbandonati in mezzo a una selva di cani a metà
tra la vita e la morte. Una scena spettacolare, nella sua demenzialità.
Poi saranno altre le foto-ricordo di questo ultimo film pre-concerto.
Il pranzo in un posto a lato di Piazza Massari, chiamato Hole, entro il
quale io mi fiondo in bagno per poi uscire dopo una eternità e trovare una
folla quasi inferocita in
attesa, oltre cui scruto Ivan che, crollato dal sonno sul tavolo dove
giacciono i resti del nostro agognato pranzo, si sveglia di colpo quasi
travolto dall'imbarazzo per occhi di tutti pronti a puntarlo.
O come l'immagine che conferma la premonizione della scorsa notte romana
da parte di Ivan (Daniè, qua spendiamo troppo per Claudio, finisce che
facciamo la fine dei barboni). Difatti, investito da un sonno boia, Ivan
si sprofonda in uno sfarzoso sonno disteso come un pascià su di una
panchina nel cuore dei giardinetti, all'ombra degli alberi ed in
compagnia degli uccelli che gli svolazzano intorno. Contagiato dalla
moda, anche io, stesomi su di un'altra panchina, mi lascio cullare dal
fresco che, finalmente dopo ore di afa, ci allieta. Il sonno è non
proprio confortevole. Un po' tutti ci contemplano strani, dubbiosi.
Barboni? Non ancora, ma, forse, sulla buona strada per esserlo. peccato
a non aver portato con me il cappellino di Claudio. magari, chissà,
avremmo guadagnato anche qualcosina!
Ma sono anche altre le fotografie di un nuovo bel giorno di viaggio:
come l'attesa di un pulman che ci portasse allo stadio, divenuta
estenuante ed anche ironica quando, chiedendo informazioni, veniamo a
conoscenza che basta prendere un qualunque mezzo di linea per arrivare
allo stazionamento della zona "Arena": qualunque tranne il numero 20.
Manco finiamo di imparare questa buona novella che, finalmente si
avvicina un pulman: "Eccolo Ivan ci siamo! Che numero è, riesci a
leggerlo?" E lui: "Si. è il venti...". Silenzio.
Preso il pulman poi, ci accorgiamo che la via del mellonaro non era la
unica strada da fare: alle spalle di quella gentilmente indicataci da
quel tipo, ce ne era una seconda: Attorniata da un superlativo lido,
dove numerosi bagnanti si rinfrescavano sull'arena (che non è quella
della vittoria!) di un meraviglioso paradiso marino con tanto di sinuose
ragazze in tenuta da mare che ci trasformano, nuovamente, negli eredi di
Pacciani.
Ma lo stadio è alle porte. Ed anche il concerto. Il tempo di una bagarre
con simpatiche persone intensamente acide che, all'atto di recarsi, come
me, alla cassa accredito biglietti (che poi era un semplice caravan) si
dedicano al civile e altamente praticato sport dello spintone, delle
strattonate, delle gomitate nei fianchi e, dulcis in fundo, nelle
eminenti dimostrazioni della propria appartenenza all'accademia della
Crusca.
Eppure. la giornata tramonta. E' il momento dello show. Uno show visto
come se fossimo noi stessi sul palco. Straordinario. Indimenticabile.
Ci siete mancati molto, amici fan.
Noi due soli, in fondo, siamo un po' come quelli delle comiche.
Combiniamo solo guai, ma ci divertiamo. Anche se, a dirla tutta, ci
saremmo divertiti di più con voi.
Sarà per un'altra volta, per una nuova rincorsa dei cavalli bradi nella
piana, o, chissà, per una nuova maratona come quella nostra, sia barese
che anconetana.
Ciao,
Daniele s.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I CONCERTI

 



ANCONA, 14 GIUGNO 2003
Una festa smodata e variopinta di effetti scenici all'insegna della
extra-dimensionalità musicale.
Questo il concerto-show di Claudio Baglioni partito intorno alle ore
21.20 di Sabato 14 Giugno allo stadio Del Conero di Ancona, primo di una
breve ma intensa serie di otto tappe che vedrà il cantore girare la
penisola legandole tra loro solo dalla successione temporale e da
modici, a quanto si dice, nodi collegiali.
E già, perché il tour 2003 di Baglioni doveva essere, per chi lo
produceva, un kolossal non concertato del tutto in cui stupire se stessi
nella rappresentazione prim'ancora degli ingordi 18mila sparsi sugli
spalti anconetani, a reclamarlo nelle poche successioni di secondi di
silenzio sonoro delle oltre 3 ore ininterrotte di musical polimorfo
offerte al pubblico, e, in fondo, alla propria fame di grandeur.
Una netta, chiara prosecuzione di quanto visto in forma ridotta nelle
ultime due uscite live di Claudio (raduno-clab e concerto contro la
droga al palaghiaccio di Marino il 9 dicembre 2002), nonché una sorta di
riassunto nei temi, nei colori, nelle sensazioni e nei costumi musicali
degli ultimi anni di carriera del "maestro", anzi... magari un riassunto
di tutti i suoi principali eventi live a partire da Ale oò.

Una notte lunare dagli infiniti occhi sgranati attende un Baglioni in
bianco che, dopo aver letto la gonfissima formazione scesa in campo, tra
musicisti e performers, abbracciando una chitarra affronta l'arena come
un gladiatore che mostra le ferite-trofeo degli storici successi.
Ma lui rincorre il tempo a tempo di musica, abbracciando virtualmente
oltre il vetro della distanza i suoi fans pluri- generazionali sulle
note di una "51 montesacro", o de "I vecchi", all'interno di un
medley-ponte che non trascura episodi più o meno recenti ( "Da me a te",
inno musical-sportivo che dette il nome alla storica tournee- evento del
1998 e dettò record d'incasso e di vestitura  della scena che adesso il
cantautore riecheggia in determinati passaggi) ed altri appartenenti al
passato remoto ("Sabato pomeriggio", "A modo mio", "Porta portese",  "W
l'Inghilterra").
I numeri di questo concerto epopea sono impressionanti: una pedana sullo
stile rampa autostradale obliqua lunga 120 metri e larga 18, dieci torri
altissime coordinanti illuminazione e amplificazione, innumerevoli
marchingegni elettronici e laser, materiale riciclato e oggetti
scenografici per tutto il rettangolo verde, un soppalco centrale, un
pianoforte sotto la sud, una orchestra di ben 33 elementi, sei
musicisti-amici (Paolo Gianolio alla conduzione musicale e chitarre,
Danilo Minotti alle chitarre, il generale Walter Savelli al piano,
Giovanni Boscariol alle tastiere, Paolo Costa al basso e Lele Menotti
alla batteria) ed addirittura oltre 400 tra figuranti, atleti,
performers, danzatori, pugili, circensi, mangiatori di fuoco,
equilibristi, pattinatrici, e ancora molti altri movimentatori dello
sfondo (selezionati nelle settimane scorse con i provini di "Ci sono
anch'io" aperte a artisti non professionisti esercitanti una qualsiasi
disciplina); questo via via sempre più arricchito di suggestivi elementi
coreografici tra costumi succinti o grossolani, palloncini, nastri,
palle luminose, laser, fiocchi multicolore: il tutto coordinato dalle
ineccepibili scelte sfarzose di  Luca Tommassini e Pepi Morgia,
quest'ultimo regista e designer  del colossale (non solo numericamente)
moto orgiastico del palcoscenico.
Un concerto visivo e percettivo, oltre che uditivo. Per questo
tridimensionale. Capace di lasciare i segni per la sapienza e la
professionalità di un Baglioni (e dei claudio's artists) in perfetta
forma, instancabile, ballerino, simulatore dello spettacolo.
Una voce impeccabile accompagna i primi pezzi confezionati da stadio,
tra cui "Sono io", molto acustica e carica a puntino, "Strada Facendo",
l'icona baglioniana, e poi "Quanto ti voglio", "Un nuovo giorno o un
giorno nuovo", la elettrica e coinvolgente "Dagli il via", tutti pezzi
che nella loro fattura rockettara scaldano  non poco il pubblico.
E' dunque il momento della fase due, quella centrale e cinematografica,
echeggiante un po' tutta la fase "dei colori" baglioniana, a partire dal
tour Rosso in poi. "Uomini persi " si arricchisce prima con l'ingresso
dei 33 orchestrali e poi del fiume dei figuranti per arrivare alla
struggente "Avrai", in cui la voce di Claudione, calda, matura, potente,
acciuffa gli acuti e gli allunghi decisivi per un generale brivido
emotivo lungo la schiena.
Il lavoro dei giovani performers è preciso, abile nel regalare abiti e
scenografie alternative e a tratti innovative: accompagnano la maestria
e la verve di un ex Agonia,  incapace di star fermo durante "Domani mai"
"Stai su", "Quante volte", oppure la sua sempre più commovente e
sentimentale interpretazione delle pagine più toccanti del vasto
curriculum, oltre che ovviamente l'aria elettrica di "Cuore di aliante",
forse uno dei pezzi più riusciti per estensione vocale, configurazione
visiva (uno stadio tutto blu grazie ai laser e in più bacchette luminose
rosse a scandire il tempo sensazionalmente dance della hit più energica
di tutto il baglionesimo).
E' il centro dello show, il momento catartico: "Buona fortuna" stile
Incanto, impreziosita da cori gospel della band tocca le corde del
cuore, l'apice vocale, i sentimenti di tutti: Un grande artista per una
voce ancor più viva di sempre. E ancora, "pausa promozionale" con le
nuove "Tutto in un abbraccio", "Mai più come te" e della acustica rock
di "Grand'uomo" che salta il suo consueto posto tra i solchi di "Sono
io, l'uomo della storia accanto" (disco già arrivato ad oltre 180mila
copie vendute in due settimane, un prodigio per il Baglioni più recente
), solo perché deve fare da apertura all'ingresso di un altro grande
uomo, Andrea Bocelli, primo eccelso ospite di questo tour.
Andrea si cala nella parte con umiltà e rispetto del collega e
dell'amicizia che li lega, collaborando senza scontri ma con incontri di
acuti e controcanti durante "Con tutto l'amore che posso", un pezzo
amato dall'artista dall'epoca dei suoi esordi nei pianobar.
La festa prosegue e si colora, si valorizza sempre di nuovi effetti,
scene recitate e costumi di grande effetto: è il fulcro di quell'idea
wagneriana di arte totale, ossia la commistione di tutte le possibili
discipline coreografiche , ballo, musica, arte circense, figurativa,
sportiva, popolare, locale, per un unico grande effetto visivo: lo si
ottiene con "Fammi andar via", "Le vie dei colori", "Acqua dalla luna",
"Bolero", durante le quali la fusione è così ricca da spiazzare
l'osservatore, e perdere l'artista principale all'interno di una
sceneggiatura ampia e molteplice.
Ci si avvia alla fine, con il rock, il pop, il sound melodico modellato
ad hoc da ballate storiche come "E adesso la pubblicità", "Io sono qui",
"Noi no", "qpga", "La vita è adesso", "Mille giorni di te e di me", ed
infine "Via", ognuna con una rilettura non sempre nativa del proprio
incedere, ma ornata da un sublime drappo di giochi e sollazzi ritmici
alla europop ed ampi prolungamenti di introduzioni, incastri  code
finali e tappeti stimolanti.
Da prendere com'è questo Baglioni: artista completo, incline alle
variazioni sul tema. Non gli basta mai un costante successo. Né le idee
innovative di concerti acustici o teatrali. C'è in lui la necessità di
stupefare perché fare musica a questi livelli (e a questi costi) non è
solamente un piacere ma spesso un onere da portare avanti per convincere
l'utente medio che, in fondo, la musica italiana (o magari quella di
chi si commuove ancora nel farla dopo 35 anni di carriera senza
auto-elevarsi ad un reduce del rimpianto) ha ancora tanto da dire.  E sa
riempire di buone note e  di festa le notti italiane di musica nostrana,
pulita, energica, toccante.

Roma 1 luglio 2003.
BAGLIONI, L'APICE SULLA VIA DI CASA

Una conferma della sua timida dismisura concertistica.
Questo in estrema sintesi lo show del 1 luglio 2003 di Claudio Baglioni
allo
stadio Olimpico di Roma, concesso nella sua interezza al cantante di
Montesacro
per la seconda volta a distanza di 5 anni.
La scorsa circostanza fu il "Da me a te", una parentesi mastodontica che
distinse Baglioni come il sultano degli stadi e della
spettacolarizzazione
scenico-musicale. In quest'ultimo caso, però,  rimescolando insieme
elementi
rievocanti effetti e nuance di un po' tutti i principali passaggi live
del
Claudio dei nostri tempi, il cantautore offre il meglio di se ad una
vera e
propria popolazione di 75mila fan vogliosi di notti di note; e dunque il
top,
l'assoluta perfezione per una emozione che saggia il vertice più alto
dell'apice
di questa continua cavalcata musicale.
Che, come sempre, Baglioni accarezza sulla via di casa per la sua quinta
nottata
di festa,  tra le otto che stanno illuminando e popolando gli stadi
italiani
della "baglionite" smaniante.
Ma anche la più vitale, la più ricca, sotto tutti i punti di vista. Già,
perché
oltre ai voluminosi numeri tecnici di questo tour-non-tour senza nome e
senza
fine, (palco di 120 metri per 18, dieci torri di amplificazione ognuna
con la
sua selva di impianti audio, casse ovunque, loop, maxischermi intorno al
palco,
innumerevoli laser e indicatori di luce, sei musicisti, 33 orchestrali
500
performers oltre al cast fisso di Tomassini, materiale riciclato a far
coreografie estemporanee su creazione degli allievi delle Belle Arti
etc.),
Baglioni riempie con queste braccia aperte e di bianco adornate uno
stadio
"tutto in un abbraccio", perché loro sono lì: in mezzo ai giorni
lavorativi, a
farsi baciare dal dardo dell'incanto di un 52enne che non smette di
rapire,
commuovere, elettrizzare e trascinare dalla loro case un'imponente massa
umana
multicolore e multi generazionale pronta a sfidare caldo, viaggi, stress
e
prezzi non propriamente popolari per entrare sulla via di casa sua,
quell'Olimpico musicante che è
come una astronave, o una macchina del tempo.
Fa, infatti, tappa un po' ovunque: dai primi anni '70 ( ignora Lia, W
l'Inghilterra) ai primi '80 (Notte di Note, note di notte, i Vecchi),
fino agli
ultimi dei '90 (Da me a te), per poi atterrare sul presente in cui
urlare la
sua identità: Sono io, l'uomo della storia accanto.
Perché è come essere ad un raduno, ad un ritrovo tra amici. Oltre 75mila
amici,
uniti da un sogno senza fine.
Le porte del nuovo show, magistrale e non concertato come tutte le
migliori
opere colme di elementi di follia e irrazionalità, il "Perfezionista" le
apre
solo alle 19, quando un folto gruppo di appassionati boccheggia il caldo
e alza
fischi di trepidante attesa. Basta un niente e le curve si riempiono:
Poi tocca
al resto, dopo un ritardo dovuto ad un ingorgo, ed alla attesa delle
tenebre
basilari nella congettura della kermesse: ed il gioco ha inizio.
Un meeting di colori, ritmi, rappresentazioni, energia.
L'olimpico lo accoglie come il RE, il Gladiatore senza età che passeggia
come
attorniato da un aura di insindacabilità, abbracciando una chitarra, per
intonare un medley di appartenenza universale.
E' il primo assaggio, l'antipasto per i golosi.
Poi lo show si rimpingua di riverberi e insegne visive da perderci la
testa, si
gremisce di effetti, luminarie prodighe e minuziosamente dirette dal
regista
Pepi Morgia, coreografie per nulla ripetitive guidate dal mago
Tommassini, che
però non arriva, suo malgrado, a dirigere Baglioni.
Lui qui comanda solitario senza appelli. E' una meteora impazzita. Muove
le
braccia a modo suo, schiocca il tempo di oltre centomila battimani,
balla danze
casuali, si diverte, si commuove, sbaglia i testi, urla, sgola, gioca.
E' al
vertice.
Un involucro musicale comprensivo di un gruppo storico ben condotto da
Paolo
Gianolio, più due guest star, il maestro Walter Savelli, presenza fissa
sul
palco, e un certo Giovanni Baglioni, studente decennale di chitarra e
membro di
un gruppo rock, ma, soprattutto, primo e unico figlio della premiata ditta
Claudio - Paola Massari. In più una orchestra per nulla
intimidita dalla massa da record; interagisce, colora, impreziosisce la
stanza
compositiva compilando e completando la bellezza dei principali successi
baglioniani con code, segmenti e risonanze sinfoniche molto larghe,
create ad
Hoc per arricchire e operare in legame con l'orecchio di chi, allo
stadio, non
c'era solo per respirare ed incanalare dentro l'anima l'onda d'urto
delle
emozioni, ma finanche per udire musiche d'autore degne di nota.
E di  favolose ed enfatiche, ieri ce ne erano eccome. Studiando o
confrontandosi
con i migliori (Celso Valli, Luis Bacalov, Pasquale Minieri, Ennio
Morricone) e
avvalendosi di strumentisti- perle (Rea, Savelli, Harrison, Boscariol
per non
parlare degli artisti e delle suggestioni che Baglioni ha condiviso con
Gabriel)
il Claudio dei giorni nostri ha decorato la sua visione musicale
globale, si è
raffinato senza mai sentirsi arrivato: con l'umiltà e l'insicurezza
tipica dei
grandi, e forse anche vero principale  motore del suo genio e della sua
indiscutibile grandezza, Baglioni ha segnato pagine musicali (lasciamo
perdere
i clamori entusiastici, qui si parla di musica vera, non mediatica) di
immenso
spessore, andando a cercare innovazioni, intuizioni e dogmi ambientali
con idee
diversificate per poter andare ancora più oltre di quanto non fosse già
andato.
E' cosi che si misura la sua insaziabile fame di apprezzamento, ed anche
la
serata di Roma. Una carrellata di melodie storiche, di brani rivestiti
ora di
rock, ora di folk, ora addirittura dance.
Abbelliti da una scenografia da grandeur, sono scorsi uno dietro l'altro
"Un
nuovo giorno o un giorno nuovo", "Dagli il via", "Strada Facendo",
"Quanto ti
voglio", "Uomini persi", che da il là all'ingresso del treno dei
figuranti:
tutte con una carica esplosiva nuova, rockettara, lucente, senza i segni
del
tempo. Prima di loro ci avevano pensato "Amore bello", "Sabato
pomeriggio" , "E
tu come stai?",  "A modo mio", "Solo" a scaldare le corde dei ricordi
amorosi, a
far schioccare i primi baci di una notte da labbra umide.
Mai domo, dopo una struggente "Avrai", dal consueto trasporto ornato da
una
versione pianoforte, voce e archi, Claudio offre alla platea riscaldata
dai
salti sui seggiolini le belle "Domani mai" e "Stai su", dove oltre gli
innumerevoli ballerini iniziano a imbottire la scena i figuranti
selezionati
nella capitale tempo addietro, ognuno con la sua performance, la sua
"arte", la
sua buona energia. Pattinatori, equilibristi, trasformisti, circensi,
karatechi,
acrobati, e ancora molti altri.
"Quante volte" stacca l'adrenalina per offrirsi alle prime lacrimucce
riganti il
viso, per poi  far ritornare a ballare l'olimpico con la meravigliosa
"Cuore di
Aliante", ora costruita su effetti laser e bacchette luminose che
piegano la
notte, ed una interpretazione vigorosa su di un arrangiamento che per un
attimo
abbandona l'acustico per vestirsi di tecno. Ma l'apice è "Buona
fortuna",
cantata a voce a cappella e cori gospel dietro: Uno splendore. Una
gemma. Da
sola vale un biglietto.
Per fortuna Claudio si ricorda di aver finito da poco un disco, molto
fortunato
per altro, ed allora mette sul carrello brani rigorosamente live quali
"Tutto in
un abbraccio", comprensiva di falsetti veri e dediche al suo amato
pubblico,
"Grand'Uomo" e la sua scalata vocale intima e dinamica, e soprattutto
"Mai più
come te", il pezzo che, tra i nuovi, Baglioni sente più suo. Non è per
niente
facile: Sale di continuo, e sfiora anche note cupe in vari punti, senza
considerare la variante conclusiva ed i dolci vibrati che, per fortuna,
Claudio
raggiunge con la stessa abilità di un tempo ma anche con una calda
maturazione
trentennale. Accanto a lui, il figlio, per un accompagnamento con
chitarra
acustica. E' poi il momento di "Serenata in sol", la più scanzonata del
nuovo
disco uscito il 23 Maggio, interpretata con l'aiuto di un foglietto e,
soprattutto, con una buona dose di ironia durante un lungo, divertente
trenino
che gira intorno al palco e diverte tutti, compresi i musicisti, che
seguono
Claudio indossan
do vistosi sombreri sul capo.
La serata è al suo momento più caldo, ed a far salire di più la
temperatura ci
pensa il tanto atteso momento dell'ospite: Renato Zero,
accerchiato
da altri personaggi aggiunti (Insegno, Brignano, Mammuccari,
Pieraccioni,
Frizzi, Burt, Capua) canta "Poster" tra una generale caciara e le urla
di uno stadio che impazzisce per il trionfo assoluto della romanità. Dalla
tribuna
esulta Totti, senza la sua letterina, intimidito dalla massa a tal punto
da
rifiutare di scendere a far numero assieme alla banda pseudo-domenicale
guidata
da Zero.
Si torna alla serietà della musica struggente: Fammi andar via, un pezzo
doloroso, ardente, tormentato, coaudivato da una interpretazione dei
performers
unica e ben congeniata, il tutto mirante a dar suggestione e
coinvolgimento.
Poi arriva la fase più filmica del Kolossal: brani che si inseguono tra
loro
scortati da una rappresentazione scenica  degna di un musical imponente,
tra
costumi sintetici, sobri, o succinti; nastro isolante, pacchiane icone
del tv
show della vita di tutti i giorni, tenute d'epoca o futuristiche, tanghi
e
breakdancers, palloncini, drappi multicolore, luci d'iride, balletti
frenetici
intorno al palco, per una integrale baldoria massificata; Questo lo
sfondo di
"Le vie dei colori", "Acqua dalla luna", "Bolero", "E adesso la
pubblicità",
alternate, nella loro ulteriormente diversa versione circoscritta da un
ampio
sottofondo orchestrale e prolungamenti ora acustici ora simil-rock, da
ballate
tanto epocali quanto amate: "E tu", "Mille giorni di te e di me",
"Questo
piccolo Grande amore", brani che Baglioni ormai è obbligato a fare, pena
il
linciaggio.
Ma non è ancora la fine: C'è spazio per una ulteriore ammucchiata  di
tripudio
d'energia, con "Io sono qui", "La vita è adesso" e "Via", forse le più
consacrate della solennità mista alla colossale eternità per dare il
ciao finale
di una notte stellare della quale, per la sua specialità, e per quella
del suo
divo padrone di casa, sentiremo ancora molto parlare.
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Napoli 5 luglio 2003
BAGLIONI, UN TRIONFO PER 35MILA CUORI NAPOLETANI

Non erano gli oltre 75mila scalmanati capaci di assieparsi in un
Olimpico illuminato dal filtro degli eccessi di una vita di musica,
quelli del 5 Luglio 2003, presenti al Baglioni-day campano.
Ma i loro cuori fiammeggiavano fulmini dal calore tipicamente
partenopeo: tant'è che, all' estinguersi del giorno, la notte si è
accesa di una passione ed un energia unica, irripetibile, e nessuno più
si è messo a far la conta della gente, che poi, in summa, con questi
tempi e condizioni, poca non era. Solo Napoli e così. E il suo popolo
rispecchia in pieno l'anima di una città che fa da cornice con tutti i
suoi difetti, è vero, ma anche con la sua incommensurabile bellezza.
Loro, in questa notte magica, a Fuorigrotta, in un San Paolo dalle curve
chiuse che mostra in tutta la sua esuberanza un palco spaziale,
stracolmo di effetti speciali come il migliore Kolossal cinematografico,
si sono centuplicati, con le urla, le esultanze, rendendo unica una
festa a dir poco mirabolante un assoluto trionfo sotto tutti i punti di
vista.
E lui, l'eroe, il protagonista, il festeggiato, si lascia coccolare,
cullare da questa onda mediterranea calda come la terra che bagna,
immettendosi al suo interno con il preciso desiderio di incarnarne  il
desiderio di celebrazione senza condizioni, senza remore. Claudio
Baglioni, lui, il 52enne mai domo e mai vecchio, in perfetta forma
fisica e, soprattutto, vocale, ha moralmente lanciato ammiccamenti a
tutti coloro i quali credono ancora in lui e, nello stesso tempo,
segnali netti di presenza e di invincibilità pura. Provate a sfidarlo.
Oltre tre ore di musica passata alla storia, riletta, interpretata,
rivestita di coreografie spettacolari e illuminazioni ormai giunte alla
massima accuratezza, dopo aver toccato le vette olimpiche e le nuvole di
altri cieli italiani in quel di Giugno. Uno show dove la musica è
padrona, in tutta la sua avvenenza tipicamente baglioniana né intimorita
di ammodernarsi né inviperita di rigenerarsi dopo anni di abbandono
intimista per farsi abbracciare da una Napoli canora, che, da sempre, lo
ha amato e seguito.  E imitato. Per questo, ma non solo, lui è qui. E'
l'uomo della storia accanto della nostra musica, o perlomeno di quella
napoletana, dai cui schemi ammette di rifarsi e dalla cui vicenda
attinge per brani appassionati, come Reginella.
Che, in effetti, è stato l'unico neo di questa serata incantata. La sola
stella a non brillare fino all'una senza luna. Forse perché, in fondo,
al centro c'era già lui, Claudio Baglioni, bianchissimo da capo a piedi,
a far luce tra una marea di personaggi sconosciuti che con la loro
energia hanno contribuito ad elettrizzare una platea esultante da
tribune e distinti:  I performers, selezionati a fine Maggio dalla
premiata ditta Morgia-Tomassini, a cui Claudio da la chance di esserci,
di dare il loro colore, su questa via policroma baglioniana.
Una festa dunque. Entro la quale il palco astronave da porta a porta si
avvalora, rispetto alla data romana, di una centralità visiva e luminosa
maggiore, causa ingestibilità del settore curvaiolo. Il mix esplosivo
parte con la sua cadenza in sordina, con l'assaggio nazional-popolare di
un medley che taglia tutti i ricordi ( 51montesacro, Signora Lia, Solo,
E tu come stai,  Sabato Pomeriggio, Amore Bello, Poster, Porta Portese
etc), compresi i più annacquati dagli anni. Poi si entra nel vivo, con
una illuminazione pazzesca, che alterna colori profondi e caldi a quelli
aguzzi come il freddo, senza permettere mai, anche al più lontano
spettatore, di perdersi il cuore di uno spettacolo a 360gradi, di un
Baglioni scalmanato e coinvolto a sua volta dai fans complici, braccato
da laser e tecniche visive degne del miglior light designer, che,
intorno al mito crea di tutto: da tappeti di barlumi viola  e contorni
rossi o azzurrini, ma mai, per ordine solenne, di giallo sui capelli.
Perché, l'autore di "Sono io", ultima hit che da anche il via alla fase
centrale e meno intima di un concerto tutto da danzare ( riletta in una
versione con suoni campionati a rientro e capovolti e una arrangiatura
assolutamente live  tra il pop folk ed il funky) ci tiene ad essere se
stesso, con i segni, pochissimi, del tempo sulla pelle e sull'album dei
flashback musicali: Interpretati senza risparmiare fiato e muscoli, con
un impeto degno di un atleta, ma anche di un artista che fonda
sull'umiltà e sulla sete di andare sempre avanti, la sua continua
aspirazione di
spiazzare i fruitori disattenti alle sue imprese, a volte addirittura
paradossali. Per cui se sorprendono, lasciando carichi di adrenalina, le
versioni "forti" di "Strada Facendo", "Dagli il via", "Quanto ti voglio"
ed "Un nuovo giorno", alcune di queste avvolte di un rock convulso, è
ovvio, se Baglioni ha già suonato nelle discoteche, nel pulman, o nelle
strade, vestito da barbone.
Però il brivido sale su "Uomini persi", a tutti e 35mila, quando, la
lunga fila dei figuranti entra in una atmosfera tangibile e notturna,
ammantata dal blu analogico di Morgia riflesso sul bianco dei loro
costumi, rappresenta sulle note stirate e modellate del cantautore più
sensibile d'Italia la fisionomia e l'occasione di dare un canto a tutte
le storie di vita disperate e silenziose. Mentre, orchestrali e
musicisti carburano, Claudio regala il germoglio canoro, "Avrai", al
pianoforte accompagnato da strumentisti di enorme spessore per una
versione inedita e commovente: La voce di Claudio, sempre bruciante,
sembra spezzare il fiato. Nessuno fa i suoi allunghi rendendoli così
magici ogni volta daccapo. L'astronave poi decolla. Baglioni è sereno,
rilassato, entusiasta, e molto meno timido e impacciato del solito:
Accenna con sempre maggior frequenza balletti e "mosse" in omaggio al
pubblico, partecipa e crea egli stesso coreografie, è il cuore, il
fulcro ma anche un elemento integrante di una manifestazione popolare e
caliente, come durante " Domani mai", "Stai su", "Quante volte" ma
specialmente "Cuore di aliante", meno virtuale ma più saporita con il
suo incipit  trascinante e il suo leitmotiv pop-rock, misto alla
inebriante scenografia dei fantasmini tambureggianti  laser rosso fuoco.
Un orgia di colori e effetti singolarmente dettagliati, è vero, ma anche
la magia della purezza della musica senza artificiali aggiunte: "Buona
fortuna" è, da Incanto, un diamante del baglionesimo, ed ascoltarla è
come il sentirsi appartenenti ad una elitè di privilegiati. Peccato per
chi, al San Paolo o altrove, abbia perso l'occasione di udire questo
inno al domani a cappella sposo di voci gospel in controcanto da
tremolio, così come  le nuove proposte del Divo, come "Tutto in un
abbraccio", dedicata al suo pubblico ma carme d'amore rimpianto dal
tempo alla Mille giorni e dai falsetti che, a farli dal vivo per
riprendere la strofa, ci si fa una figuraccia se non sei Baglioni. O
come la dolce acustica melodica di Mai più come te, strimpellata
mirabilmente da Giovanni Baglioni, il quasi maestro nonché figlio di un
mito che intona, da traino del trenino di musicisti ironicamente in giro
per il palco, la solare "Serenata in sol".
"Grand'uomo" fa saltare in piedi tutto il S. Paolo, che poi, si attende
l'ospite misterioso ma si becca una meravigliosa versione di Poster che
Baglioni non riveste a rap, ma innalza verso un applauso sentito con
controcanti e doppie voci fatte in solitudine, un onanismo  uditivo vero
e proprio.
Così come nelle altre tappe, il top arriva con il repertorio teatrale di
uno show dove non si risparmia in grandezza e dispendio. Inutile provare
a contare quanti artisti o atleti abbiano partecipato: durante "Fammi
andar via", "Le vie dei colori", "Acqua dalla luna" e "Bolero" si vedono
in scena ballerini classici, maestri d'arte marziale, costumi
futuristici, fuochi che divampano, sbandieratori, palloncini dal colore
della strofa, e quanto di meglio si possa immaginare; C'era di tutto, su
quel palco rivestito da una eccezionale voce e da una sublime scelta
visiva. Chi c'era non può non aver apprezzato la dimensione per nulla
dispersiva dello spettacolo, ed ancor di più l'inatteso duetto tra il
cantore e i vocalist de "I neri per caso" che, entrando sulla coda di
una impeccabile E tu, la allungano, la arricchiscono di cori, sfumature,
code spettacolari. E si ripetono con un Baglioni inedito durante "A
città e pulicenella", un canto tipicamente napoletano, che fa impazzire
il pubblico quando, attorno alle tonalità di "i neri", si fa viva la
voce del mago Baglioni, calda e forte come sempre.
Il resto è storia: la filmistica di "e adesso la pubblicità", il
pacifismo di "Ninna nanna" e "Noi no", forse la più carica e
coinvolgente di tutti, la romantica e irrinunciabile "Mille giorni di te
e di me" con tanto di finale disperatamente frenetico, "QPGA" e il
finale elettrico, rock, da ballo, da stadio: Io sono qui, La vita è
adesso e Via.
Ma non è l'ora di andare: fuochi d'artificio spettacolari, infiniti,
magistrali colorano di giorno la notte, rendendo questa data ancor di
più napoletana e, in fondo, consegnandola ai cassetti dei ricordi di chi
ha avuto la fortuna di averla vissuta.

Daniele Silvestri